Con sentenza 30687, depositata il 5 Agosto 2021, la Cassazione ripercorre i tratti salienti del variegato istituto della confisca, soffermandosi sulla differenza tra quella delineata dall’art. 240, c. 2, n. 2 cp (“essenzialmente focalizzata sulle caratteristiche dei beni da confiscare, i quali, possedendo un’attitudine criminosa intrinseca, non richiedono accertamenti anomali ai fini dell’applicabilità della misura”) e quella prevista dall’art. 178 D.Lgs. n. 42/2004 formalmente sanzione amministrativa, ma  sostanzialmente penale.

Conseguentemente, l’applicabilità di tale secondo istituto necessita dell’ “accertamento del suo presupposto, ovverosia del fatto di reato sottostante, accertamento questo che a sua volta deve avvenire nel necessario contraddittorio fra le parti.“.

Nella vicenda in esame il GIP aveva disposto l’archiviazione per carenza dell’elemento soggettivo in capo agli imputati, ma era stata disposta comunque l’archiviazione dell’opera assertivamente contraffatta, in quanto ritenuta sempre obbligatoria.

Alla luce del lineato principio  è stata così annullata l’ordinanza che aveva disposto la confisca in esame, con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio.


 

Cass. pen., sez. III, ud. 4 maggio 2021 (dep. 5 agosto 2021), n. 30687
Presidente Gentili – Relatore Galterio

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 22.10.2020 il Tribunale di Ferrara, adito con incidente di esecuzione, ha rigettato la richiesta articolata da A.P. e da M.M. , nei cui confronti era stato pronunciato in data 30.1.2019 decreto di archiviazione in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178, lett. b) di detenzione al fine di farne commercio di un’opera pittorica attribuita a J.M. , risultata contraffatta, stante la mancanza dell’elemento soggettivo, con contestuale confisca,-di restituzione del quadro. A fondamento del diniego il Giudice adito ha rimarcato il carattere obbligatorio della confisca disposta dal comma 4 del citato art. 178 che non lasciava, malgrado il difetto dell’elemento psicologico del reato contestato, alcuna opzione alternativa alla misura di sicurezza applicabile anche in presenza di una pronuncia assolutoria ed ha altresì escluso la sussistenza dei presupposti che consentissero di accogliere la richiesta svolta in via subordinata dagli istanti di un accertamento peritale in ordine all’autenticità dell’opera a fronte della perizia già prodotta dalla difesa nel corso delle indagini, ritenuta inadeguata ad attestare la attribuibilità della stessa al pittore spagnolo. 2. Avverso il suddetto provvedimento gli istanti hanno proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando due motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p.. 2.1. Con il primo motivo contestano, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178, comma 4, l’applicabilità della disposta confisca in assenza di un sostanziale accertamento di responsabilità per i fatti ipotizzati nei loro confronti equivalente a quello contenuto in una sentenza di condanna evidenziando che la finalità perseguita dalla suddetta misura è di natura sanzionatoria in quanto volta ad impedire che l’autore di un reato di contraffazione, alterazione, commercio o detenzione di opere di arte contraffatte possa continuare a goderne con l’ulteriore rischio di contaminare il mercato dell’arte, onde la necessità di un accertamento giurisdizionale della sussistenza del reato e del nesso di pertinenzialità del bene con l’illecito sottostante. Evidenziava come un’opera d’arte non autentica non costituisce un bene pericoloso di per sé, come dimostra il fatto che ciascuno può commissionare la riproduzione di un quadro d’autore da tenere nel proprio salotto senza che ciò comporti la confiscabilità dello stesso. Nella fattispecie manca inoltre, secondo la difesa, la certezza della falsità del dipinto essendosi acquisite due contrastanti perizie, l’una che accompagnava l’opera accertandone l’autenticità sin dalla sua acquisizione da parte del de cuius ed un’altra, del tutto scarna, redatta dall’ausiliario tecnico della polizia giudiziaria che ne attesta invece la falsità, senza che nel contraddittorio fra le parti fosse stata disposto un accertamento tecnico di ufficio volto a stabilire in via definitiva l’autenticità del dipinto. 2.2. Con il secondo motivo deducono quand’anche si dovesse ritenere accerta la non autenticità dell’opera, non poteva esserne disposta la confisca nei confronti di soggetti, quali gli odierni ricorrenti, estranei al reato, essendo stata fatta valere anche dal PM nella richiesta di archiviazione la buona fede di costoro. L’assenza di colpevolezza in relazione al primo reato, ovverosia alla contraffazione, la sussistenza del quale soltanto comporta la confiscabilità del bene, non consentiva perciò di disporre la misura di sicurezza per il fatto che essi si fossero attivati per la vendita, restando immutato lo stato di buona fede che li aveva portati ad acquisire a suo tempo il dipinto: tale ultima condotta proprio perché non assistita dal necessario elemento volontaristico, costituisce secondo la difesa, un post-factum rispetto all’originaria contraffazione, privo di rilevanza penale per mancanza di dolo e perciò inidoneo a mutare l’originario regime di confiscabilità del bene.

Considerato in diritto

Il ricorso, per il quale si rende opportuna la trattazione congiunta di entrambi i motivi in quanto tra loro inscindibilmente connessi, deve ritenersi meritevole di accoglimento nei limiti di seguito indicati. Al fine di rendere più agevole l’excursus argomentativo di seguito sviluppato, occorre muovere dalla norma in contestazione nei punti di interesse. Sotto la rubrica “contraffazione di opere d’arte” dispone il D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178, comma 1 che “è punito con la reclusione da tre mesi fino a quattro anni e con la multa da Euro 103 a Euro 3.099: a) chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un’opera di pittura, scultura o grafica, ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico; b) chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in commercio, o detiene per farne commercio, o introduce a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura, grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico; c) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti, indicati alle lettere a) e b) contraffatti, alterati o riprodotti; d) chiunque mediante altre dichiarazioni, perizie, pubblicazioni, apposizione di timbri od etichette o con qualsiasi altro mezzo accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentici opere od oggetti indicati alle lett. a) e b) contraffatti, alterati o riprodotti”. Chiude la norma il comma 4 che, a sua volta, prevede che “è sempre ordinata la confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere o degli oggetti indicati nel comma 1, salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato. Delle cose confiscate è vietata, senza limiti di tempo, la vendita nelle aste dei corpi di reato”. Va in primo luogo rilevato che, quale che sia il reato tra quelli indicati nella suddetta disposizione al quale si collega la prevista misura ablatoria, non è in ogni caso condivisibile la tesi difensiva, secondo la quale la confisca in esame, in quanto volta ad impedire che l’autore della falsificazione di un’opera d’arte possa continuare a goderne con l’ulteriore rischio di contaminare il mercato dell’arte, implica la colpevolezza del soggetto che ne viene colpito nell’attività di contraffazione, presupposto in assenza del quale la misura non avrebbe potuto essere disposta nei confronti dei ricorrenti essendo entrambi estranei a qualsivoglia condotta falsificatoria, ma costituendone semmai le vittime per aver acquisito il dipinto in buona fede, come del resto avevano riconosciuto sia il PM sia il Gip, avendone il primo richiesto ed il secondo disposto l’archiviazione. Tale interpretazione non risulta supportata da alcun elemento nè letterale nè logico. Nella fattispecie, invero, il reato che impone la confiscabilità dell’opera è non già la sua contraffazione, alterazione o riproduzione, ipotesi queste previste dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178, lett. a), ma il fatto di aver posto in commercio un’opera contraffatta, ancorché la contraffazione sia ascrivibile a soggetto diverso dall’alienante (lett. b). Conclusione questa che si fonda sulla stessa littera legis, prevedendosi che la confisca cada sulle opere contraffatte, a meno che non appartengano a soggetti diversi dagli autori del reato di cui al comma 1, dove per reato non si intende solo la fattispecie prevista dalla lett. a) del comma 1 ovverosia la condotta di chi abbia posto in essere la condotta di contraffazione, alterazione o riproduzione, ma chiunque abbia posto in essere una delle condotte previste dal comma 1, tra le quali è compresa la messa in commercio o la detenzione per la vendita. Nella stessa direzione converge anche la ratio sottesa alla misura di sicurezza che è quella, come si ricava dalla matrice comune alle singole condotte criminose contemplate nel comma 1 della norma in esame e dalla pubblicità previsa dal comma 3 che accompagna alla sentenza di condanna, di impedire la circolazione sul mercato di opere d’autore spacciate come autentiche. Non vi è dubbio pertanto che la fattispecie criminosa contestata consentisse in astratto di disporre la confisca essendo stato accertato che la condotta posta in essere dai ricorrenti, che pure non avevano concorso alla falsificazione, era consistita nella detenzione per la vendita del quadro che il Gip ferrarese ha reputato falsamente attribuito a J.M. , senza che tuttavia la loro buona fede consentisse di ritenere il reato presupposto perfezionato, ragione per la quale è stato pronunciato nei loro confronti decreto di archiviazione. Ma se, essendo già stata accertata la mancanza di dolo in capo ai ricorrenti, ben poteva ritenersi superfluo ai fini dell’archiviazione l’accertamento della falsità dell’opera, altrettanto non può dirsi ai fini della confisca. Va al riguardo rilevato che quella prevista dal D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178, comma 4, si configura come una confisca obbligatoria in quanto prescinde da una pronuncia di condanna, come si ricava dall’avverbio “sempre” che, ove il presupposto per la sua applicazione fosse una sentenza di condanna non avrebbe ragion d’essere. Muovendo da tale premessa di ordine sistematico, si tratta, tuttavia, di stabilire se la suddetta misura, seppur obbligatoria, abbia la stessa portata applicativa della confisca prevista dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 2) anch’essa contemplata anche se non è stata pronunciata condanna in relazione alle “cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato”. Al riguardo non può prescindersi dal rilevo univocamente riconosciuto tanto dalla dottrina dominante quanto dalla giurisprudenza che la norma di impianto codicistico non esaurisce le ipotesi di confisca obbligatoria nè contempla una regolamentazione di ordine generale. Invero la confisca, pur sostanziandosi sempre nella privazione di beni economici, assume, alla luce di un sistema processuale che si è sviluppato attraverso molteplici modifiche legislative ed incisive evoluzioni giurisprudenziali, funzione e natura diverse, prevalendo di volta in volta finalità strettamente sanzionatorie e dunque di pena, o di misura di sicurezza, ovvero anche di misura amministrativa. All’insieme delle diverse ipotesi previste dall’art. 240 c.p., comma 2, che colpisce o cose che hanno un collegamento con il reato, come accade per il prezzo contemplato dalla previsione di cui al n. 1) o cose intrinsecamente pericolose di cui al n. 2), comunque tutte riconducibili all’alveo della confisca-misura di sicurezza, natura che invece non è univocamente ravvisabile per i beni, aventi caratteristiche diverse, di cui al n. 1-bis), successivamente inserito, si aggiungono le molteplici figure di confisca obbligatoria introdotte dalla legislazione speciale che comprendono anche res che non solo non hanno alcuna attitudine criminosa intrinseca, ma neppure denunciano indici di pericolosità in collegamento con la disponibilità che determinati soggetti ne abbiano, ben potendo il vincolo cadere persino su beni non manifestanti il minimo collegamento con il singolo fatto di reato (esemplari sono le ipotesi di confisca D.L. 8 giugno 1992, n. 306, ex art. 12-sexies, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 1992, n. 356, ora 240-bis c.p., e di confisca di valore). La constatazione che quello della confisca costituisce un insieme eterogeneo impone, come ben chiarito da questa Corte a Sezioni unite, da una parte, di uscire da tentativi definitori onnicomprensivi alla luce dei diversi connotati che possono caratterizzare l’istituto della confisca e, dall’altra, di evitare di ritenere che la stessa semantica delle norme – magari ambigua e lacunosa – possa ritenersi l’unico parametro di apprezzamento di un “sistema” aggrovigliato, nel quale i profili di diritto sostanziale non di rado si confondono e stratificano con la dinamica del processo: l’opzione finale è quella di ritenere che il giudice comune debba orientarsi per quella soluzione che, nel rispettare i principi costituzionali nonché quelli convenzionali – per come “interpretati” dalla Corte di Strasburgo – si collochi in una linea che risulti integralmente satisfattiva anche e soprattutto dei valori fondanti dell’ordinamento che, altrimenti, risulterebbero compromessi (Sez. U. n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264434). È proprio muovendo da tale approdo che balza evidente la differenza che corre, circoscrivendo il raffronto alla sola ipotesi di cui all’art. 240, comma 2, n. 2) che è l’unica che prescinde, quanto meno espressamente, da una pronuncia di condanna, tra la disposizione codicistica e la norma speciale in esame: infatti mentre nella prima l’obbligatorietà trova giustificazione nella circostanza che la misura concerne cose intrinsecamente pericolose, in quanto la detenzione o l’uso di esse assume di per sé carattere criminoso, rispondendo conseguentemente la misura ablatoria ad una logica preventiva, volta ad impedire la commissione di nuovi reati (cfr. Sez. U, n. 40847 del 30/05/2019 -dep. 04/10/2019, Bellucci, Rv. 276690 – 02 che ha esaminato il tema della obbligatorietà della confisca in relazione al divieto di restituzione ex art. 324 c.p.p., comma 7), per contro la confisca di un’opera d’arte contraffatta assolve, tanto più se disposta nei confronti di chi non sia l’autore della contraffazione, ad una funzione punitivo-repressiva, che prescinde dalla pericolosità intrinseca della cosa, dipendendo la sua confiscabilità dall’accertamento dell’esistenza di un’attività vietata. Se, quindi, la previsione di cui all’art. 240, comma 2, n. 2), è essenzialmente focalizzata sulle caratteristiche dei beni da confiscare, i quali, possedendo un’attitudine criminosa intrinseca, non richiedono accertamenti anomali ai fini dell’applicabilità della misura, altrettanto non può dirsi per la confisca di cui al D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178. Trattandosi formalmente di una sanzione amministrativa, diversa dalla confisca “tipica”, ma che, sostanzialmente e al tempo stesso, ha natura penale, essendo quindi soggetta dunque all’apparato di garanzie predisposto specificamente in subjecta materia, si ritiene che non possa, ai fini della sua applicabilità, prescindersi, proprio perché non ricadente su un bene intrinsecamente pericoloso, dall’accertamento del suo presupposto, ovverosia del fatto di reato sottostante, accertamento questo che a sua volta deve avvenire nel necessario contraddittorio fra le parti. Come infatti già affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza De Maio a proposito della confisca, sia pur riferita all’immediata declaratoria di estinzione del reato, la circostanza che il giudice possa procedere ad accertamenti ai fini dell’applicabilità della misura non può affatto considerarsi anomala (Sez. U, Sentenza n. 38834 del 10/07/2008 – dep. 15/10/2008, Rv. 240565), affermazione questa ripresa e sviluppata dalla giurisprudenza più recente che ha sottolineato come gli ampi poteri di verifica di cui dispone il giudice gli consentono di procedere ad un accertamento incidentale, analogo a quello contenuto in una sentenza di condanna, della responsabilità dell’imputato e del nesso pertinenziale fra l’oggetto della confisca ed il reato (Sez. 6, Sentenza n. 31957 del 25/01/2013 – dep. 23/07/2013, Cordaro, Rv. 255596; Sez. 3, Sentenza n. 53692 del 13/07/2017 -dep. 29/11/2017, Martino Rv. 272791 secondo cui una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata della normativa relativa alla confisca D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44 non osta all’applicabilità della misura a condizione che il suddetto reato venga accertato, con adeguata motivazione, nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, atteso che l’obbligo di accertamento imposto dal giudice per l’adozione del provvedimento ablativo prevale su quello generale della immediata declaratoria della causa di non punibilità ex art. 129 c.p.p.). Analogamente all’excursus giurisprudenziale formatosi in materia di confisca urbanistica che ha portato, muovendo dalla finalità eminentemente sanzionatoria che la connota, a ritenerne, nella prospettiva della valutazione dei rapporti tra l’ordinamento statuale e le norme CEDU stanti le incisive pronunce della Corte Europea sul punto, l’applicabilità anche in presenza di una causa estintiva del reato determinata dalla prescrizione, purché la sussistenza del fatto, ovverosia la lottizzazione abusiva, sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di un giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati (Sez. U, Sentenza n. 13539 del 30/01/2020 – dep. 30/04/2020, Rv. 278870), non poteva nel caso di specie procedersi alla confisca del dipinto in contestazione in assenza di uno specifico accertamento volto alla verifica, nel contraddittorio fra le parti, della sua non autenticità. Pur condividendosi il presupposto del ragionamento seguito dal G.E., secondo cui non era necessaria una sentenza di condanna in relazione al delitto contestato, costituito, come già rilevato, nella detenzione a fini di commercializzazione di una tela falsamente attribuita al pittore spagnolo e dunque contraffatta, non può tuttavia convenirsi con l’approdo finale dell’ordinanza impugnata che ha portato al rigetto dell’opposizione all’esecuzione sul rilievo che il decreto di archiviazione con il quale era stato definito il giudizio nei confronti degli istanti, prosciolti “perché il fatto non costituisce reato” stante la rilevata assenza dell’elemento soggettivo, non consentisse alcuna opzione alternativa all’applicabilità della confisca dell’opera, senza che fossero necessarie, in difetto di elementi sopravvenuti, ulteriori indagini ed in particolare l’espletamento della perizia perorato dalla difesa. Al di là dei profili relativi alla compatibilità della formula assolutoria adottata (non ampiamente liberatoria come quella pronunciata “perché il fatto non sussiste” o perché l’imputato non lo ha commesso”) con la disposta misura di sicurezza, la questione che si poneva nel caso in esame non era quella relativa alla mancanza di elementi di novità, attenendo invece al vulnus che inficia in nuce la misura ablatoria, disposta in assenza di un accertamento della falsità dell’opera nel contraddittorio fra le parti. Se è vero che questa Corte si è già pronunciata affermando, in relazione alla confisca obbligatoria, la parificazione del decreto di archiviazione pronunciato per insussistenza delle condizioni per procedere al dibattimento con la sentenza di proscioglimento dell’imputato per cause che non incidono sulla materialità del fatto e che non interrompono il nesso intercorrente tra la cosa e il reato (Sez. 1, Sentenza n. 7940 del 12/12/2019 – dep. 27/02/2020, Rv. 278585; Sez. 1, n. 48673 del 23/09/2015, Frigo Hellas Company Ltd, Rv. 265426; Sez. 3, n. 28508 del 04/06/2009, Vedani, Rv. 244780-01), non può, tuttavia, prescindersi nel caso di specie dalla differenza che intercorre tra il processo pieno che si svolge con la necessaria partecipazione al giudizio di tutte le parti e il procedimento di archiviazione che definisce, invece, il giudizio senza che il processo venga instaurato con conseguente compressione del principio del contraddittorio, scelta questa che in tanto è percorribile ove non intervenga a detrimento dei diritti in capo al soggetto indagato. È fin troppo evidente che il sacrificio del diritto dominicale derivante dalla disposta misura ablatoria produce conseguenze di natura patrimoniale nei confronti del titolare del bene le quali, specie nel settore delle opere d’arte, possono assumere valori particolarmente elevati, tale essendo certamente il caso di una produzione attribuibile ad un quanto mai celebre ed accreditato esponente della pittura del ‘900 qual è J.M. . Pertanto, l’accertamento del fatto di reato, e dunque la non autenticità del quadro di proprietà degli istanti, quand’anche potesse essere superfluo ai fini del proscioglimento stante la ritenuta mancanza di dolo da parte di costoro, si configura, invece, necessario ai fini della confisca. È chiaro, infatti, che a fronte di due contrapposte consulenze, integranti entrambe un accertamento di parte, quali l’attestazione prodotta dalla difesa in ordine all’autenticità del dipinto e la relazione predisposta dall’ausiliario incaricato dalla Polizia Giudiziaria che ha ritenuto trattarsi invece di un falso, non può ritenersi accertata, in assenza di una perizia disposta nel contraddittorio fra le parti – che gli istanti non avevano altro modo di richiedere se non in sede esecutiva, non beneficiando costoro di alcuna forma di impugnazione del decreto di archiviazione pronunciato nei loro confronti all’infuori dell’opposizione all’esecuzione (Sez. 3, n. 842 del 15/11/2019 -dep. 13/01/2020, Pugliese, Rv. 278280) -, la non autenticità dell’opera, costituente l’indefettibile presupposto della disposta confisca. Del resto, le difformi conclusioni cui è pervenuto il Tribunale di Ferrara si pongono in stridente contrasto con i principi sovrannazionali e segnatamente con l’art. 7, concernente il principio di legalità in materia penale, e art. 1, afferente al diritto di proprietà) della CEDU(Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa” firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ai quali è stata data esecuzione con la Legge di ratifica 4 agosto 1955, n. 848). È sufficiente richiamare quanto già affermato dalla Corte di Strasburgo nella sentenza Varvara c. Italia del 29 settembre 2013 che, seppur riferita al tema della confisca urbanistica, ha condannato lo Stato italiano in conseguenza dell’avvenuta compressione del diritto di proprietà ad opera di una sanzione penale illegittimamente applicata: nel ribadire la natura sanzionatoria della confisca esaminata in quanto connotata da finalità punitive volte ad impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge – profili questi, come si è visto, non dissimili da quelli che caratterizzano la confisca di un’opera d’arte ai sensi del D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 178 -, secondo i giudici Europei sarebbe inconcepibile un sistema in cui una persona dichiarata innocente o, comunque, senza alcun grado di responsabilità penale constatata in una sentenza di colpevolezza subisca una pena, in quanto “(…) la logica della “pena” e della “punizione”, e la nozione di “guilty” (nella versione inglese) e la corrispondente nozione di “personne coupable” (nella versione francese) depongono a favore di un’interpretazione dell’art. 7 che esige, per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al suo autore”, con correlative ripercussioni sul diritto di proprietà del bene appreso con la confisca a fronte di un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni eseguita in violazione del principio di legalità. Tutto ciò premesso, deve in conclusione affermarsi che la confisca di opere d’arte prevista dall’art. 178 cit., seppur obbligatoria, non è assimilabile, in quanto non ricade su beni di natura intrinsecamente criminosa, alla confisca obbligatoria tipica disciplinata dall’art. 240 c.p., comma 2, n. 2) presupponendo perciò, ove disposta in assenza di una pronuncia di condanna, un accertamento incidentale del fatto reato e, pertanto, dalla falsità, o meglio contraffazione dell’opera. L’ordinanza impugnata deve essere, quindi, annullata con rinvio al Tribunale di Ferrara che dovrà procedere a nuovo giudizio diretto all’accertamento dell’autenticità del dipinto oggetto della confisca disposta con il decreto di archiviazione pronunciato nei confronti degli odierni ricorrenti.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Ferrara.