La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze proponeva ricorso avverso la sentenza emessa dal Tribunale della medesima Città, che aveva condannato due imputati per il furto di un borsellino da uno zaino, lasciato aperto.

Tale circostanza aveva indotto il Giudice di prime cure ad escludere l’aggravante della destrezza e su questa specifica questione si appunta il ricorso del PM, che viene accolto dalla Cassazione con la sentenza n. 13071, depositata il 7 aprile 2021.

Affermano infatti i Supremi Giudici che “nel caso in cui si sia sottratto un oggetto dalla borsa, o dallo zaino portato indosso, non può considerarsi decisiva la circostanza che la borsa o lo zaino siano, oltre che portati indosso, anche chiusi con una cerniera o con un altro meccanismo … posto che, anche in tale evenienza, il “borseggiatore” deva agire con particolare cautela ed abilità.”.

In particolare, viene rammentato il principio di diritto elaborato con la nota sentenza delle “Sezioni Unite Quarticelli”, secondo il quale: “in tema di furto, la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res”, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo” – non concretando certo, l’eventuale mancata chiusura della borsa o dello zaino portati sulla propria persona, quella disattenzione che consente all’autore del furto di agire senza mostrare l’ancora necessaria destrezza.”.

Alla luce di quanto sopra, l’impugnata sentenza viene cassata, “ limitatamente all’esclusione dell’aggravante della commissione del fatto con destrezza, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Firenze”. 


 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 febbraio – 7 aprile 2021, n. 13071
Presidente Zaza – Relatore Scarlini

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 7 giugno 2019, il Tribunale di Firenze, in rito abbreviato, dichiarava C.M. e Y.R. colpevoli del delitto di cui agli artt. 110 e 624 c.p., escludendo la circostanza aggravante della destrezza contestata ai sensi dell’art. 625 c.p., n. 4, condannandoli alle pene indicate in dispositivo.
Il Tribunale, nell’escludere l’aggravante, osservava che non vi era prova della condotta così come descritta in imputazione, visto che la stessa si era fondata solo sugli analoghi comportamenti tenuti, in precedenti occasioni, dai medesimi imputati (e che avevano dato luogo a diversi processi a loro carico). Si poteva poi ritenere che lo zainetto dal quale i due imputati avevano sottratto il borsellino fosse stato lasciato aperto, così che gli stessi si fossero limitati ad infilare la mano ed estrarne l’indicato contenuto.
Nè poteva trarsi alcuna diversa conclusione dal fatto che la persona offesa non si fosse accorta di nulla (si era, infatti, allarmata solo dopo che un passante l’aveva avvertita che il suo zainetto risultava essere aperto).
2. Propone ricorso il Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge ed il vizio di contraddittorietà della motivazione, dovendosi considerare indubbia la destrezza dimostrata dagli imputati nell’aprire la cerniera dello zainetto, nell’introdurvi la mano, nell’estrarre il portafoglio e nell’evitare che la persona offesa si accorgesse di siffatta manovra.
In termini era la sentenza Cass. N. 36989/2019 (non mass).
3. Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella persona del sostituto EPIDENDIO Tomaso, ha concluso per l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

Il ricorso merita accoglimento.
1. Questa Corte, in tema di furto, sulla configurabilità della circostanza aggravante della destrezza, ha avuto moto di precisare, fra le numerose esemplificazioni fatte, che:
– la circostanza aggravante della destrezza sussiste sia quando la condotta “destra” investa la persona del derubato, come nel caso di borseggio, sia quando riguardi direttamente il bene sottratto che non si trovi sul soggetto passivo, ma alla sua portata e sotto la sua immediata vigilanza, anche se non a stretto contatto fisico (nella specie l’agente, approfittando della circostanza che la persona offesa era girata di spalle a conversare, con un gesto rapido e repentino, si impossessava del suo giubbotto appoggiato sul sellino della moto in sosta): Sez. 5, n. 23549 del 15/07/2020, Ferrari, Rv. 279361;
– la circostanza aggravante della destrezza sussiste nel caso in cui l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolare abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res” (l’imputato aveva tentato di impossessarsi di oggetti e valori custoditi in una borsa, inserendovi celermente la mano all’interno della borsa, mentre la parte offesa era intenta all’acquisto di prodotti farmaceutici): Sez. 5, n. 48915 del 01/10/2018, Rv. 274018.
In altri termini, la circostanza in parola sussiste ogniqualvolta l’autore del reato abbia utilizzato una particolare abilità, come ordinariamente avviene nella classica ipotesi del “borseggio”, quando, cioè, alla vittima del reato venga sottratto un bene, il portafogli od altro, custodito, o direttamente sulla propria persona o in una borsa, agendo repentinamente ed in modo da non essere colto sul fatto, pur agendo a stretto contatto con la vittima del reato.
Così che, nel caso in cui si sia sottratto un oggetto dalla borsa, o dallo zaino portato indosso, non può considerarsi decisiva la circostanza che la borsa o lo zaino siano, oltre che portati indosso, anche chiusi con una cerniera o con un altro meccanismo (che, peraltro, in molte borse notoriamente manca), come, invece, ha affermato il Tribunale di Firenze nell’impugnata sentenza, posto che, anche in tale evenienza, il “borseggiatore” deva agire con particolare cautela ed abilità.
Tanto più se tale ipotesi viene verificata alla luce del principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 34090 del 27/04/2017, Quarticelli Rv. 270088 – secondo il quale ” in tema di furto, la circostanza aggravante della destrezza sussiste qualora l’agente abbia posto in essere, prima o durante l’impossessamento del bene mobile altrui, una condotta caratterizzata da particolari abilità, astuzia o avvedutezza ed idonea a sorprendere, attenuare o eludere la sorveglianza del detentore sulla “res”, non essendo invece sufficiente che egli si limiti ad approfittare di situazioni, non provocate, di disattenzione o di momentaneo allontanamento del detentore medesimo” – non concretando certo, l’eventuale mancata chiusura della borsa o dello zaino portati sulla propria persona, quella disattenzione che consente all’autore del furto di agire senza mostrare l’ancora necessaria destrezza.
2. La sentenza impugnata va pertanto annullata e nel giudizio di rinvio dovrà farsi applicazione dei ricordati principi di diritto, alla luce della ricostruzione dei fatti che si opererà.
Il giudice del rinvio va individuato, ai sensi dell’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. d), nel medesimo Tribunale, in diverso giudice, posto che la pubblica accusa non avrebbe potuto appellare la sentenza, in applicazione dell’art. 443, comma 3, codice di rito, essendosi proceduto in rito abbreviato senza che sia stato modificato il titolo del reato.
Deve, infatti, ritenersi che la locuzione “titolo del reato” individui la sola qualificazione giuridica del reato contestato, composto dai suoi elementi essenziali, ai quali, invece, le circostanze aggravanti soltanto si aggiungono, come elementi accidentali del fatto, così da non modificarne, appunto, il “titolo”.
Sulla medesima linea interpretativa si è posta la sentenza Sez. 6, n. 6274 del 17/11/2010, dep. 21/02/2011, Rv. 249462 laddove si è affermato che, in tema di giudizio abbreviato, l’appello proponibile dal P.M. avverso la sentenza di condanna che abbia modificato il titolo del reato può avere ad oggetto qualsiasi statuizione adottata e non deve essere necessariamente limitato al ripristino dell’originaria, più grave, ipotesi contestata, ma può riguardare anche motivi diversi, quali, ad es., quelli relativi al ripristino di circostanze aggravanti e all’aumento della pena.
Con ciò intendendo come le censure relative alle aggravanti, non riguardando il “titolo del reato”, non avrebbero consentito alla pubblica accusa di appellare la pronuncia.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’esclusione dell’aggravante della commissione del fatto con destrezza, con rinvio per nuovo esame sul punto al Tribunale di Firenze.