L’attenuante di cui all’articolo  62 n. 4 cp (conseguimento di un lucro di speciale tenuità) è riconoscibile a tutti i reati commessi a scopo di lucro, anche a quelli inerenti agli stupefacenti e persino all’autonoma fattispecie “di lieve entità”, delineata dall’art. 73 c. 5 DPR 309/1990.

Così si è espressa la quarta sezione penale della Corte di cassazione con la sentenza 12.967 Depositata il 6 aprile 2021, attenendosi al principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione penale con la nota pronuncia 24990 del 30/01/2020.

In sostanza,  spetterà al Giudice di merito accertare – nel singolo caso concreto – la sussistenza dei presupposti dell’attenuante in esame, con conseguente possibilità, in caso positivo, di un abbattimento della pena.

Non sarà invece possibile una preclusione assoluta derivante dalla delineata natura delittuale.


 

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 novembre 2020 – 6 aprile 2021, n. 12967
Presidente Di Salvo – Relatore Dawan

Ritenuto in fatto

1. D.M.A. , per il tramite del difensore, ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, confermativa della pronuncia del Tribunale di Roma che, all’esito di giudizio abbreviato, lo ha ritenuto colpevole dei reati a lui ascritti (detenzione a fine di spaccio di eroina e resistenza a pubblico ufficiale), riqualificato il reato di cui al capo A) ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
2. Il ricorso consta di un solo motivo con cui si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’omesso riconoscimento della circostanza di cui all’art. 62 c.p., n. 4.
Diversamente da quanto si legge nella sentenza impugnata, l’attenuante de qua trova applicazione anche al reato di cessione di sostanze stupefacenti, avendo la Suprema Corte affermato che la stessa deve ritenersi applicabile a qualsivoglia delitto commesso per motivi di lucro, indipendentemente dalla natura del bene oggetto di tutela.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è meritevole di accoglimento.
2. La Corte di appello di Roma ha ritenuto che la circostanza attenuante prevista dall’art. 62 c.p., n. 4, non sia applicabile ai reati, come lo spaccio di stupefacenti, che mettono in pericolo la salute pubblica.
3. Il tema dell’applicabilità della circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità, di cui all’art. 62 c.p., n. 4, ai reati in materia di stupefacenti, oggetto di contrasto giurisprudenziale, è stato recentemente affrontato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 24990 del 30/01/2020, Dabo Kabiru, Rv. 279499). Investite della questione “se la circostanza attenuante del conseguimento di un lucro di speciale tenuità, di cui all’art. 62 c.p., n. 4, sia applicabile ai reati in materia di stupefacenti, e, in caso affermativo, se sia compatibile con l’autonoma fattispecie del fatto di lieve entità, prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5”, le Sezioni Unite l’hanno risolta nel senso che la circostanza attenuante del lucro e dell’evento di speciale tenuità sia applicabile, indipendentemente dalla natura giuridica del bene oggetto di tutela, ad ogni tipo di delitto commesso per un motivo di lucro, compresi i delitti in materia di stupefacenti, e sia compatibile con la fattispecie di lieve entità prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5.
Nella citata pronuncia, il massimo consesso di questa Corte ha ricordato che, prima dell’entrata in vigore della L. 7 febbraio 1990, n. 19, l’attenuante comune di cui all’art. 62 c.p., n. 4, era prevista nel caso di speciale tenuità del danno cagionato alla persona offesa ed era applicabile solo ai delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio. La novella testè citata ha aggiunto nella medesima disposizione un’ulteriore diminuente, applicabile a tutti i delitti determinati da motivi di lucro, alla duplice condizione che sia il lucro perseguito od effettivamente conseguito dal reo, sia l’evento dannoso o pericoloso siano caratterizzati da speciale tenuità. La Relazione illustrativa del disegno di legge, dal quale origina il descritto intervento normativo, espressamente riportava la nuova attenuante alla opportunità, per motivi di equità, di riformulare l’art. 62 c.p., n. 4, in modo simmetrico all’art. 61 c.p., n. 7, che già prevedeva l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità non solo per i reati contro il patrimonio, ma anche per quelli determinati da motivi di lucro. Nel proporre tale allineamento, il Governo segnalava che “peraltro, attribuendosi rilievo ai motivi del reato, non è parso congruo eccepire, come delimitazione oggettiva dell’operatività dell’attenuante, il parametro del danno patrimoniale di speciale tenuità arrecato alla persona offesa, che ne avrebbe contenuto la portata in margini eccessivamente ristretti e generalmente riferibili ai soli delitti che tutelano, esclusivamente o in via cumulativa, il patrimonio”, e fosse invece opportuno “prevedere che il danno (o il pericolo) di speciale tenuità che viene in rilievo non è quello patrimoniale bensì quello criminale”, sicché, “così delineata, la diminuente viene a costituire un valido elemento a disposizione del giudice per una più equa correlazione della pena alla effettiva lesività della condotta criminosa”. In definitiva, per consentire la piena attuazione del principio di proporzionalità della pena, alla struttura dell’attenuante di nuovo conio – riferita tanto al perseguimento o all’effettivo conseguimento di un lucro di speciale tenuità che alla produzione di un danno criminale (e non solo patrimoniale) di pari intensità e grado – non si accompagna – a differenza di quella preesistente, relativa ai soli delitti contro il patrimonio o che comunque offendono il patrimonio – alcuna selezione di categorie di reati operata in via astratta in relazione al bene giuridico protetto e senza considerare le specifiche caratteristiche del caso concreto.
3.1. Non ogni violazione della disciplina penale degli stupefacenti cagionando la lesione o la messa in pericolo di beni giuridici di primaria importanza e costituzionalmente protetti, quali la salute della persona e la sicurezza pubblica – comporta necessariamente, per sua natura, un evento dannoso o pericoloso, diretto o mediato, di cui sia impossibile la qualificazione in termini di tenuità: viene, in primo luogo, in rilievo D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, il quale prevede che una condotta punibile ai sensi dello stesso articolo possa connotarsi quale fatto “di lieve entità”. Infatti, ove la semplice individuazione del coacervo dei beni giuridici protetti dalle disposizioni penali in tema di stupefacenti fosse sufficiente, sempre e comunque, ad escludere la lieve entità dell’offesa in concreto ad essi arrecata nel caso di specie, quell’ipotesi delittuosa non sarebbe mai suscettibile di integrazione. L’esistenza della fattispecie del comma 5 dimostra, al contrario, che anche per i delitti in materia di stupefacenti è senz’altro configurabile una lesione o messa in pericolo dei beni giuridici protetti caratterizzata da lieve entità. Si tratta di conclusione avvalorata anche dall’ulteriore riscontro sistematico dell’art. 131-bis c.p., che prevede la “non punibilità del fatto quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, comma 1, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”. Invero, l’istituto della non punibilità per particolare tenuità dell’offesa non connette alla mera individuazione del bene giuridico protetto alcun rilievo ai fini del giudizio sull’utilità e necessità della pena. Al contrario, il legislatore ha affidato la selezione delle fattispecie alle quali è applicabile quella causa di non punibilità alla considerazione della gravità del reato, desunta dalla pena edittale e della non abitualità del comportamento; mentre nessuno degli altri indicatori idonei ad escludere la particolare tenuità dell’offesa elencati al comma 2 dello stesso art. 131-bis ha diretto e generale riguardo al tipo di bene giuridico protetto. Ebbene, poiché la fattispecie delittuosa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, rientra nei limiti di applicabilità dell’art. 131-bis c.p., appare evidente che il legislatore ha ritenuto la violazione di quel precetto penale suscettibile di produrre un’offesa ai beni giuridici tutelati qualificabile in termini di particolare tenuità, andando essa, in tal caso, esente da pena. Conseguentemente, risulta smentito, sotto ulteriore e autonomo profilo, l’assunto – posto a base dell’orientamento che nega l’applicabilità ai reati in materia di stupefacenti dell’attenuante del lucro e dell’offesa di speciale tenuità di cui all’art. 62 c.p., n. 4, – secondo cui ogni violazione della disciplina penale degli stupefacenti comporti necessariamente un evento dannoso o pericoloso di cui sia impossibile la qualificazione in termini di tenuità.
3.2. Teorizzare, in via generale, la non applicabilità dell’attenuante a categorie di reati individuate in ragione dell’astratta riferibilità a un dato bene giuridico, affermando che, anche ad ipotizzare la speciale tenuità del lucro conseguibile dall’imputato, “non sarebbe comunque mai soddisfatta la seconda condizione prevista dall’art. 62 c.p., n. 4, e cioè la speciale tenuità del danno o del pericolo conseguente all’azione”, comporta, sostengono le Sezioni Unite, null’altro che la generalizzata esclusione – sempre e comunque dell’applicabilità dell’attenuante in esame, sulla base di considerazioni sganciate dalla concreta connotazione storica del fatto e in contrasto con la rilevata finalità del legislatore di estendere l’applicabilità dell’attenuante a tutti i delitti determinati da motivi di lucro. Potendo in concreto verificarsi che l’evento dannoso o pericoloso conseguente a un delitto commesso per motivi di lucro indipendentemente dalla natura giuridica del bene protetto, e quindi anche, come del resto normativamente previsto, in materia di stupefacenti – presenti una gradualità non necessariamente superiore alla soglia della “speciale tenuità”, tanto da essere generalmente ipotizzabile l’esenzione da pena conseguente, ai sensi dell’art. 131-bis c.p., alla particolare tenuità del fatto.
4. Le Sezioni Unite – condividendo le argomentazioni più recentemente portate a sostegno dell’orientamento giurisprudenziale che ammette la compatibilità dell’attenuante del lucro e dell’offesa di speciale tenuità con l’ipotesi delittuosa del fatto di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, – hanno poi escluso alcun cumulo di benefici sanzionatori tra loro concorrenti. Che il riconoscimento dell’attenuante del lucro e dell’offesa di speciale tenuità comporti, in caso di condanna per il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, la duplice valutazione del medesimo elemento è assunto smentito dalla diversità dei presupposti necessari per l’integrazione del fatto di lieve entità rispetto a quelli conformativi dell’attenuante comune in esame. Mentre la valutazione della “lieve entità” del fatto, ai sensi dell’art. 73, comma 5 citato, attiene alla condotta (avuto riguardo ai mezzi, alle modalità, alle circostanze dell’azione e all’oggetto materiale del reato), la verifica della “speciale tenuità”, rilevante per il riconoscimento dell’attenuante di cui alla seconda parte dell’art. 62 c.p., n. 4, attiene ai motivi a delinquere (lucro perseguito), al profitto (lucro conseguito) e all’evento (dannoso o pericoloso) del reato. Si tratta, quindi, di valutazioni focalizzate su elementi tra loro ontologicamente differenti: la prima, attinente alla “lieve entità del fatto”, è unitaria e complessiva, non scandita da un ordine gerarchico degli elementi allo scopo rilevanti, per ciascuno dei quali è possibile un giudizio di parziale o totale compensazione (così, da ultimo, Sez. U, n. 51063 del 27/09/2018, Murolo, Rv. 274076); la seconda, relativa alla “speciale tenuità” del lucro e dell’offesa, indica due temi specifici e distinti, suscettibili di opposte conclusioni nel medesimo caso di specie e ancorati ad un parametro di maggiore intensità e pregnanza rispetto a quello rilevante per l’integrazione della fattispecie “lieve”.
5. In conclusione, la circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, può, dunque, essere applicata a tutti i reati commessi a scopo di lucro. Una volta verificato che il delitto è stato commesso a fini di lucro, il giudice di merito deve valutare, in concreto, la ricorrenza, o meno, della speciale tenuità riferita sia al lucro perseguito o conseguito dall’autore del reato, sia all’evento dannoso o pericoloso causato nel caso di specie.
Esclusa l’incompatibilità logica e normativa tra la fattispecie di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 e l’attenuante del lucro/offesa di speciale tenuità, il riconoscimento di tale attenuante nel caso concreto resta così affidato ad una puntuale ed esaustiva verifica, della quale il giudice di merito deve offrire adeguata giustificazione, che dia consistenza sia all’entità del lucro perseguito o effettivamente conseguito dall’agente, che alla gravità dell’evento dannoso o pericoloso prodotto dalla condotta considerata. Dovendosi tale ultimo elemento riferire alla nozione di evento in senso giuridico, esso è infatti idoneo a comprendere qualsiasi offesa penalmente rilevante, purché essa, come concretamente accertata, si riveli di tale particolare modestia da risultare “proporzionata” alla tenuità del vantaggio patrimoniale che l’autore del fatto si proponeva di conseguire o ha in effetti conseguito.
6. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, con rinvio, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al diniego della circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).