Nella vicenda di cui si è occupata la Corte di Cassazione, con la sentenza 25941/2020, depositata ieri 12/9/2020 (in calce), una madre aveva falsamente dato atto, nella “dichiarazione di responsabilità genitoriale” resa al dirigente di un istituto di istruzione, del consenso dell’altro genitore in ordine al trasferimento del figlio minore in altro istituto scolastico.

Ma le bugie, come si sa, hanno le gambe corte.

Svelato il mendacio, la donna veniva tratta a giudizio per i reati di cui all’art. 483 cp (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico) e 76 D.P.R. n. 445/2000.

Il Tribunale, ritenuto che i reati fossero stati commessi in un contesto familiare connotato da accesa conflittualità, ne escludeva la punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis cp.

Detta decisione veniva però impugnata in Cassazione dal Procuratore Generale presso la Corte d’appello, evidenziando che detta sarebbe stata, semmai, sintomatica dell’ “intensità del dolo”.
La Pubblica Accusa sosteneva poi che l’offesa arrecata al bene giuridico presidiato da dette norme sarebbe stata piena e non particolarmente tenue, come invece richiesto dall’art. 131 bis c.p.e ritenuto nell’impugnato provvedimento.
La Cassazione condivide le argomentazioni della Procura e dopo aver espressamente qualificato la condotta della donna “non … connotata da particolare perspicacia e scaltrezza“, evidenzia l’inidoneità dell’astio tra i due genitori a far ritenere sussistente la particolare tenuità di cui sopra.
Viceversa, si appalesa il “chiaro intento di mendacio perseguito dall’imputata, pienamente realizzato e reso ancor più grave dalla circostanza di involgere gli interessi di un figlio di ancor tenera età”.
Da quanto appena esposto discende l’annullamento dell’impugnata sentenza, con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 luglio – 11 settembre 2020, n. 25941
Presidente Palla – Relatore Micheli

Ritenuto in fatto

Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Brescia ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la declaratoria di assoluzione di Ya. Li. dal reato a lei ascritto per particolare tenuità del fatto.
L’esercizio dell’azione penale nei confronti dell’imputata ha riguardato una condotta qualificata ex artt. 76 del D.P.R. n. 445/2000 e 483 cod. pen.: secondo l’ipotesi accusatoria, la donna avrebbe attestato falsamente – in una dichiarazione presentata al dirigente di un istituto di istruzione sito nella provincia di Brescia – di avere effettuato con il consenso dell’altro genitore la scelta per l’iscrizione del proprio figlio minore presso il medesimo istituto (quando invece ella aveva trasferito il piccolo, da una scuola materna delle Marche, all’insaputa del padre).
Il P.M. ricorrente evidenzia che, secondo il giudice, la minima offensività dell’episodio deriverebbe dalle modalità della condotta, occorsa in un quadro di conflittualità fra i due genitori: ma tale rilievo si palesa manifestamente illogico, atteso che – semmai – l’esistenza di un pregresso contenzioso dovrebbe accrescere la gravità del reato, almeno in punto di intensità del dolo. Si legge poi nell’atto di impugnazione, onde sostenere l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., che «il bene giuridico, nel caso di specie, è stato offeso in modo pieno per quanto atteneva all’oggetto della dichiarazione», mentre il fatto «che si trattasse di mendacio facilmente accertabile – sol che l’altro genitore palesasse il suo dissenso – non sembra invero comportare una minore offesa del bene giuridico tutelato e tanto meno una offesa particolarmente tenue».
E’ pervenuta memoria nell’interesse della parte civile Ma. Ac. (padre del suddetto minore), nella quale vengono rassegnate conclusioni adesive al ricorso del P.g. territoriale.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.
Secondo il Tribunale di Brescia, infatti, «non può contestarsi che la condotta di Li. Ya., la quale – a seguito dell’interruzione della relazione con Ac. ha cambiato residenza, trasferendo inevitabilmente anche il figlio – si è limitata ad attestare, nella “dichiarazione di responsabilità genitoriale”, la sussistenza del consenso di entrambi i genitori, non risulta connotata da particolare perspicacia e scaltrezza, dovendo essere letta, peraltro, nell’ambito di una controversia evidentemente di accesa conflittualità fra le parti». Il riferimento, ribadito alcune righe dopo, alla astiosità tra i due protagonisti della vicenda, non sembra però giustificare in alcun modo la ritenuta, modesta offensività dell’addebito, quand’anche fosse da interpretare come contrapposizione reciproca e non certo unilaterale. La stessa descrizione del fatto, come risultante dalla rubrica, palesa al contrario il chiaro intento di mendacio perseguito dall’imputata, pienamente realizzato e reso ancor più grave dalla circostanza di involgere gli interessi di un figlio di ancor tenera età.
Si impongono, pertanto, le determinazioni di cui al dispositivo, dovendosi prendere atto della natura predibattimentale della decisione de qua.
Data la natura peculiare del reato in rubrica, che si assume commesso dalla Li. quale esercente potestà su un minore, la Corte ritiene infine doveroso disporre l’omissione, in caso di diffusione del presente provvedimento, dell’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti del processo, ai sensi dell’art. 52 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia.