Con sentenza 42.941, depositata il 25 novembre 2024, la sezione VI della Corte di Cassazione penale ha escluso che la mera introduzione di una sola scheda Sim integri il reato di cui all’articolo 391 ter cp (Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti).
Detta norma così recita:
“Fuori dei casi previsti dall’articolo 391 bis, chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni.
Si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense.
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni.”
Alla base della decisione della suprema Corte v’è la considerazione che il testo legislativo punisce chi indebitamente procura ad un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni, mentre la Sim – di per sé sola – non consente alcuna comunicazione.
In definitiva, la Sim non è né un apparecchio, né un dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni, ma ne costituisce una parte eventuale, non considerata autonomamente nel menzionato reato.
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Cass. pen., sez. VI, ud. 11 settembre 2024 (dep. 25 novembre 2024), n. 42941
Presidente De Amicis – Relatore Tripiccione
Ritenuto in fatto
- Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Campobasso propone ricorso immediato per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Campobasso che ha assolto C.E. dal reato di cui all’art. 391-ter cod. pen.
Con un unico motivo deduce il vizio di violazione di legge in relazione alla erronea esclusione della configurabilità del reato, nonostante l’imputata abbia introdotto in carcere, dove si era recata per effettuare un colloquio con il compagno ivi detenuto, una scheda SIM a lei intestata, occultata nel reggiseno.
Sostiene il ricorrente che, sulla base di una interpretazione teleologica e logica dell’art. 391-ter cod. pen., introdotto dal legislatore per arginare il fenomeno dell’introduzione in carcere di apparecchi cellulari, deve ritenersi che nella nozione di “dispositivo idoneo alla comunicazione” rientra anche la scheda SIM senza la quale un dispositivo mobile non potrebbe funzionare. Si sostiene, inoltre, che una diversa interpretazione renderebbe prive di sanzione penale condotte consistenti nell’introduzione in carcere, in tempi diversi, di parti di dispositivi mobili che, una volta ricomposti dal detenuto, potrebbero essere impiegati per la comunicazione con l’esterno.
- Il Procuratore Generale ha depositato una requisitoria scritta in cui, nel concludere per l’accoglimento del ricorso, ha evidenziato, tra l’altro, che la norma incriminatrice si riferisce ad apparecchi telefonici e altri dispositivi idonei a effettuare comunicazioni, senza precisare in alcun modo se tali strumenti debbano, di per sé soli, consentire la comunicazione o meno, nonché senza distinguere lo strumento, nella sua interezza, dalle sue parti. Sulla base di tali argomenti, si sostiene che anche la scheda SIM deve considerarsi un dispositivo idoneo a consentire la comunicazione. Si rileva, infine, che, ove si pervenisse a diversa conclusione, si escluderebbe la configurabilità del reato nel caso in cui venisse messo nella disponibilità di una persona detenuta un apparecchio telefonico privo di scheda SIM.
- Il difensore dell’imputata, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso, ha, in particolare, dedotto che il ricorso propone una suggestiva interpretazione della norma incriminatrice in aperta violazione del principio di tassatività e dei lavori preparatori, che così descrivono la condotta incriminata: «Per le ragioni esposte, con la presente proposta di legge si intende introdurre nel codice penale un reato specifico per punire le condotte illecite di introduzione, possesso e utilizzo di apparecchi radiomobili o altri apparati idonei per le comunicazioni con l’esterno all’interno degli istituti penitenziari, al fine di prevenire e di contrastare tali condotte e, soprattutto, di garantire una maggiore sicurezza all’interno delle carceri, in modo da evitare che il loro dilagare possa arrecare pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico».
Considerato in diritto
- Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato per le ragioni di seguito esposte.
- Il reato di cui all’art. 391-ter cod. pen.(Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti) è stato introdotto dall’art. 9 d.l. 21 ottobre 2020, n. 130, convertito dalla legge 18 dicembre 2020, n. 173, nell’ambito dei delitti contro l’autorità delle decisioni giudiziarie.
La norma prevede che, fuori dei casi disciplinati dall’art. 391-ò/s (Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti a regime detentivo differenziato ai sensi dell’art. 41 -bis ord. pen. in elusione delle relative prescrizioni), chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l’uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni (primo comma). Viene sanzionata nella medesima misura anche la condotta del detenuto che riceve o utilizza tale dispositivo, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato (terzo comma).
Il secondo comma contempla, infine, quale circostanza aggravante ad effetto speciale, l’ipotesi in cui il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense.
2.1. Secondo quanto emerge dai lavori preparatori, l’introduzione di tale fattispecie criminosa risponde all’esigenza di contrastare le comunicazioni con l’esterno, diverse da quelle specificamente autorizzate, da parte dei detenuti sottoposti a regime detentivo ordinario.
Da un primo esame della disposizione emerge che l’intervento penalistico è stato interpretato come risposta all’endemico fenomeno dell’introduzione in carcere di apparecchi cellulari, essendo risultata non praticabile, sia da un punto di vista tecnico che economico, l’alternativa soluzione di attuare una “schermatura” degli istituti penitenziari.
A fronte di tale ratio dell’intervento normativo, in dottrina si è sostenuto che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame va individuato nell’esigenza di garantire l’effettività della pena detentiva e della custodia cautelare in carcere.
2.2. Con riferimento al soggetto attivo del reato, il primo comma della norma incriminatrice contempla un reato comune, che diventa proprio nella fattispecie aggravata commessa dal pubblico ufficiale, dall’incaricato di un pubblico servizio o da un soggetto che esercita la professione forense.
Quanto all’elemento oggettivo, la norma è strutturata a più fattispecie, tra loro alternative. Il legislatore ha, infatti, tipizzato tre alternative condotte consistenti nel: 1) procurare a un detenuto «un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni»; 2) consentire «l’uso indebito» di tali strumenti; 3) introdurre in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine renderlo disponibile a una persona detenuta.
Simmetricamente alla previsione del primo comma, il terzo comma sanziona, inoltre, la condotta del detenuto che riceve o utilizza tali dispositivi, cosicché, con riferimento a tali condotte il reato si caratterizza come un reato proprio ovvero, come affermato in dottrina, quale reato a concorso necessario proprio.
- Il tema che il ricorso pone attiene all’oggetto materiale delle condotte sanzionate e, in particolare, alla possibilità di considerare la sola scheda SIM (dall’acronimo inglese Subscriber Identity Module, modulo d’identità dell’abbonato) quale “apparecchio telefonico” o quale “dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”.
La soluzione della questione impone di muovere dall’analisi della funzione della scheda SIM per poi verificare se essa possa rientrare tra i possibili significati di una delle due locuzioni in questione.
Va, innanzitutto, considerato che tale scheda costituisce un accessorio che può essere inserito all’interno sia di un telefono cellulare che di altri dispositivi quali, tra gli altri, il tablet, il router portatile, o, ancora, una scheda internet. A secondo delle tipologie attualmente commercializzate dai diversi operatori, la scheda SIM consente a questi ultimi di associare il dispositivo in cui è inserita al profilo del proprio cliente e di fornirgli i servizi acquistati, servizi che possono includere il c.d. “traffico voce” e, dunque, le telefonate e gli sms, ovvero, congiuntamente o alternativamente (c.d. SIM dati), la sola navigazione su internet.
La scheda SIM, dunque, costituisce un accessorio del telefono cellulare (incluso lo smartphone) o di uno dei dispositivi sopra esemplificativamente indicati, che consente di accedere al servizio fornito da un operatore di telefonia (comunicazione e/o navigazione tramite internet).
Va, peraltro, considerato che tale scheda costituisce un accessorio non indispensabile per tale finalità, potendosi, ad esempio, accedere ad internet attraverso un telefono, un “tablet” o anche un “personal computer”, condividendo la connessione alla rete con altro dispositivo munito di scheda SIM, attraverso la funzione di hotspot disponibile nelle impostazioni del singolo dispositivo mobile.
Al contrario, la sola scheda SIM, senza il dispositivo in cui va inserita, non è, di per sé, idonea a consentire delle comunicazioni.
- Le considerazioni sopra esposte consentono, dunque, di anticipare la risposta negativa che si intende dare alla questione posta dal ricorso.
Ritiene, infatti, la Corte che, sulla base di una interpretazione letterale, teleologica e sistematica della norma incriminatrice, le condotte incriminate dall’art. 391-ter cod. pen. possono avere quale oggetto solo un apparecchio telefonico o “altro dispositivo”, nell’accezione che sarà di seguito specificata, considerati nella loro unitarietà, con esclusione, dunque, sia delle loro parti che degli eventuali accessori, quale, ad esempio, la sola scheda SIM.
4.1. Va, innanzitutto, considerato che quando il legislatore ha inteso sanzionare condotte riferite a parti di determinati beni lo ha previsto espressamente: in tema di armi, ad esempio, sono state espressamente sanzionate le condotte di fabbricazione, introduzione nello Stato, vendita o cessione, senza la licenza dell’autorità, di armi da guerra o tipo guerra o di parti di esse (art. 1, legge 2 ottobre 1967, n. 895) ovvero la loro detenzione (art. 2, legge cit.).
In assenza di tale esplicita previsione normativa, deve ritenersi che un ampliamento del significato delle due locuzioni impiegate dal legislatore (“apparecchio telefonico” e “altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”) al fine di ricomprendervi anche la sola scheda SIM si risolve non in una interpretazione estensiva di tali locuzioni, bensì in una non consentita operazione di estensione analogica della fattispecie incriminatrice e, dunque, nella violazione dei principi di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie nonché, conseguentemente, della correlata garanzia “soggettiva”, riconosciuta ad ogni consociato, della prevedibilità delle conseguenze della propria condotta (cfr. Corte cost., sentenza n. 98 del 2021).
4.2. Nessuna delle due locuzioni in esame può, infatti, assumere, tra i suoi possibili significati letterali, anche quello di “carta o scheda SIM”.
Il termine “apparecchio telefonico” si riferisce, infatti, ai dispositivi che consentono la comunicazione a distanza tra gli utilizzatori. Vengono, a tale riguardo, in rilievo, tra gli altri, i telefoni fissi, i telefoni mobili, gli smartphone e tutte le successive evoluzioni tecnologiche di tale strumento (ad es., in tempi recenti, i c.d. “criptofonini”).
Di converso, la locuzione «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» si riferisce agli altri dispositivi, che, pur diversi dai primi, sono a questi accomunati dalla medesima destinazione funzionale.
Ciò emerge, in primo luogo, dalla struttura della norma che, attraverso la congiunzione disgiuntiva “o”, prevede tali dispositivi, in alternativa agli apparecchi telefonici, quale oggetto delle condotte sanzionate. Come si diceva sopra, ove il legislatore avesse voluto sanzionare anche le condotte aventi ad oggetto parti o accessori di apparecchi telefonici, arretrando ulteriormente la soglia di rilevanza penale delle condotte tipiche, lo avrebbe previsto espressamente.
A conferma di tale opzione esegetica, va, inoltre, considerato che, anche da un punto di vista semantico, il termine “dispositivo” si riferisce ad un apparecchio – o, ancora, ad un congegno o ad un apparato – destinato a svolgere una specifica funzione. Ad esempio, venendo al caso in esame, può essere considerato come «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazione» anche un tablet o un trasmettitore-audio.
4.3. L’alternativa previsione, quale oggetto materiale delle condotte incriminate, degli “altri dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni” non può, dunque, riferirsi a “parti” degli apparecchi telefonici, ma risponde ad una esigenza di tecnica legislativa volta a ricomprendere in un’unica locuzione tutti i dispositivi diversi dagli apparecchi telefonici, sia attualmente disponibili sul mercato che frutto di una futura evoluzione tecnologica, che sono connotati dalla medesima destinazione funzionale, evitando, così, sia una pesante elencazione dei dispositivi vietati che continui interventi normativi di adattamento dell’oggetto delle condotte incriminate al progresso tecnologico.
La medesima tecnica è stata, ad esempio, utilizzata allorché si è prevista la modalità “telematica” quale modalità principale di esecuzione delle notificazioni (cfr. art. 148 cod. proc. pen. come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150). Anche in tal caso, infatti, il legislatore ha ritenuto non opportuno individuare specificamente quali siano le modalità telematiche utilizzabili, al fine di evitare continui interventi di modifica del codice di rito, riservando tale specificazione alla normazione tecnica attuativa (Cfr. Relazione illustrativa al citato d.lgs.).
4.4. La soluzione ermeneutica qui affermata appare, inoltre, coerente con la ratio della norma incriminatrice e con la natura istantanea del reato in questione.
Come già si è detto, infatti, l’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di impedire indebite comunicazioni da parte dei detenuti sia tra loro che all’esterno.
Dalla formulazione della norma può, inoltre, evincersi che il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui, alternativamente, viene procurato, introdotto o acconsentito l’uso del dispositivo da parte del detenuto. È in tale momento, infatti, che viene messo in pericolo o offeso il bene giuridico tutelato dalla norma: in base al tipo di condotta, infatti, quando il dispositivo entra nella disponibilità del detenuto o, quanto alla sola introduzione, viene indebitamente introdotto all’interno dell’istituto penitenziario, diventa concreto il pericolo di indebite comunicazioni con terzi; tale evento, che sostanzialmente si risolve nella elusione delle disposizioni che regolamentano i colloqui telefonici dei detenuti (cfr. art. 39 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), si verifica, invece, nell’ipotesi in cui la condotta consista nel consentire al detenuto l’uso del dispositivo.
Qualunque sia la fattispecie che viene in rilievo, tra quelle contemplate dal primo comma, proprio in ragione del carattere istantaneo del reato è, dunque, necessario che l’apparecchio o il dispositivo oggetto della condotta incriminata sia completo e già di per sé idoneo a consentire la comunicazione.
4.5. Ciò emerge anche dalla speculare previsione delle condotte ascrivibili al detenuto e passibili di sanzione penale.
La norma punisce, infatti, sia la mera ricezione che l’utilizzazione del dispositivo. In entrambi i casi, una interpretazione coerente con il principio di offensività del reato impone di considerare quale oggetto delle condotte sanzionate solo il dispositivo nella sua unitarietà.
Va, infatti, sottolineato che la mera condotta di “ricezione” può assumere una sua concreta offensività solo se ha ad oggetto un apparecchio telefonico o “altro dispositivo”, come sopra definito, inteso nella sua unitarietà. Diversamente, ove si accedesse ad una interpretazione che consente di sanzionare, ai sensi dell’art. 391-ter cod. pen., anche la mera ricezione della sola scheda SIM, si finirebbe per estendere la tutela penale a fatti privi di offensività.
Va, inoltre, aggiunto, che, proprio alla luce delle caratteristiche tecniche della scheda SIM, illustrate nel par. 3., la condotta di “utilizzazione” appare inconciliabile logicamente con un siffatto oggetto, che, si ripete, è di per sé inidoneo ad effettuare comunicazioni.
4.6. La soluzione ermeneutica qui indicata trova conferma anche nell’esame dei lavori preparatori^ dai quali emerge, infatti, che il legislatore ha preso in considerazione i telefoni cellulari e, dunque, apparecchi telefonici nella loro unitarietà. Oltre agli specifici riferimenti terminologici va anche considerato che nel corso dei lavori parlamentari è stato analizzato il regime sanzionatorio antecedente l’entrata in vigore del d.l. n. 130 del 2020 proprio in merito alla messa a disposizione di un telefono cellulare a favore di un detenuto, distinguendosi tra la possibile configurabilità del reato di favoreggiamento per colui che ne avesse agevolato le comunicazioni con l’esterno e il solo illecito disciplinare ravvisabile in relazione al possesso di telefoni cellulari da parte dei detenuti (cfr. art. 14 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230).
4.7. Va, infine, aggiunto che anche in dottrina, allorché si è tentato di esemplificare le due locuzioni usate dal legislatore, si è fatto riferimento ai telefoni cellulari, ai trasmettitori audio nonché, quanto alla condotta consistente nell’acconsentire l’uso indebito al detenuto, agli apparecchi telefonici installati in carcere o ai telefoni cellulari in uso al personale penitenziario. In ogni caso, sono stati, comunque, considerati i telefoni e i diversi dispositivi nella loro unitarietà.
- Al ragionamento finora svolto segue, infine, un ultimo corollario. Va, infatti, chiarito che le considerazioni sopra esposte attengono esclusivamente al significato delle due locuzioni utilizzate dal legislatore ed alla impossibilità di includervi la condotta che, come nel caso in esame, ha ad oggetto esclusivamente una scheda SIM.
Diversa, infatti, risulterebbe l’ipotesi in cui, ad esempio, contestualmente alla introduzione di una scheda SIM in un istituto penitenziario, venisse rinvenuto nella disponibilità del detenuto un dispositivo ove detta SIM potrebbe essere inserita, consentendo, così, di comunicare con terzi. Ad analoghe conclusioni potrebbe pervenirsi anche nel caso in cui, oltre al rinvenimento della scheda SIM, procurata o introdotta nell’istituto penitenziario, venisse accertato che il detenuto era in grado di fare “affidamento” su un dispositivo di un operatore penitenziario “compiacente” o corrotto.
- Evidentemente esulano dal confine della norma incriminatrice tutte le diverse condotte connotate, per lo più, dal frazionamento del singolo dispositivo o, ad esempio, dall’introduzione in tempi diversi delle singole parti così ottenute. Ciò in quanto l’oggetto materiale delle condotte alternativamente incriminate dall’art. 391-ter cod. pen.si riferisce non a singole parti materiali e/o accessori, ma al solo dispositivo immediatamente utilizzabile, eventualmente anche in ragione della sussistenza delle condizioni esemplificativamente indicate nel precedente paragrafo, per la comunicazione con l’esterno.
Tali condotte, infatti, seppure ipoteticamente coerenti con la ratio della disposizione incriminatrice, si pongono in netto contrasto con il principio di legalità e di tassatività, spettando al solo legislatore la valutazione in merito alla eventuale modifica della norma incriminatrice e, in particolare, all’estensione dell’oggetto materiale delle condotte tipizzate anche alle parti o agli accessori dei dispositivi destinati alle comunicazioni.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.