“La posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane, discendente anche dalle ordinanze del Ministero della Salute del 3 marzo 2009 e del 6 agosto 2013, impone l’obbligo di controllare e custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi (Sez. 4 n. 31874 del 27/06/2019, Giambelluca, Rv. 276705). “.

E’ quanto si legge nella sentenza 39622/24, depositata il 29.10.2024, ove si aggiunge:  “Nel caso di specie l’addebito di colpa nei confronti della ricorrente è stato ravvisato nel non avere dotato il cane di museruola, avendo il giudice ritenuto che la semplice dotazione del guinzaglio non fosse cautela sufficiente ad impedire l’evento poi effettivamente verificatosi.”

Da quanto sopra discende l’inammissibilità del ricorso e la condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di € 3.000 in favore della cassa delle ammende.

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Cass. pen., sez. IV, ud. 15 ottobre 2024 (dep. 29 ottobre 2024), n. 39622

Presidente Di Salvo – Relatore Ricci

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

  1. Il Giudice di Pace di Crotone ha condannato G.M. in ordine al reato di cui all’art. 590 cod. pen., commesso in Crotone il (OMISSIS), alla pena di euro 1000,00 di multa.

G.M. è stata ritenuta responsabile per avere, nella qualità di proprietaria del cane corso, cagionato a M.G.C. lesioni personali.

L’addebito di colpa è stato individuato nella negligenza e imprudenza, per non avere l’imputata adottato le debite cautele nella custodia del cane, che, privo di museruola, si era avventato contro M.G.C., morsicandola in varie parti del corpo.

  1. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, a mezzo di difensore, formulando due motivi.

2.1 Con il primo, ha dedotto la violazione di legge ed in particolare dell’art. 192 cod. proc. pen. Il Giudice di Pace – osserva il difensore – aveva affermato la responsabilità penale dell’imputata solo sulla base della testimonianza della persona offesa che, tuttavia, era incoerente e contraddittoria. In particolare, M.G.C., nel corso dell’esame dibattimentale, aveva riferito che, per primo, le era venuto incontro il cane dell’imputata e, subito dopo, un altro cane di colore nero, mentre in querela aveva dichiarato che il primo cane ad aggredirla era stato quello nero. In ogni caso la ricostruzione dell’accaduto da parte della donna era stata difforme rispetto a quella dei testi sentiti nel corso del dibattimento. R.C., il quale lavorava in un ufficio situato nei pressi del luogo ove la donna era stata aggredita, aveva riferito che il cane dell’imputata era rimasto al guinzaglio e che era stato solo il cane nero ad avventarsi contro M.G.C.. Così pure A.C., indifferente, in quanto persona estranea ad entrambe le parti, aveva confermato che la donna era stata aggredita solo dal cane nero.

2.2. Con il secondo motivo, ha dedotto la violazione di legge in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato. L’istruttoria aveva chiarito che l’imputata aveva tenuto regolarmente il cane al guinzaglio, sicché nessun addebito di colpa poteva essere a lei mosso.

  1. Il Procuratore generale, nella persona del sostituto Sabrina Passafiume, ha presentato conclusioni scritte con cui ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
  2. Il difensore dell’imputata, con memoria in data 1 ottobre 2024, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
  3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
  4. E’ noto, quanto alla natura del ricorso in cassazione, che il contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione deve essere il confronto puntuale, con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso, con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (in motivazione, sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Leonardo e altri Rv. 254584). Sono, perciò, estranei alla natura del sindacato di legittimità l’apprezzamento e la valutazione del significato degli elementi probatori attinenti al merito, che non possono essere apprezzati dalla Corte di Cassazione se non nei limiti in cui risulti viziato il percorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa e sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (cfr. sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

Ciò premesso, nel caso di specie il Giudice di Pace ha fondato la affermazione della responsabilità penale della ricorrente sulle dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili in quanto precise e dettagliate, secondo le quali ella era stata aggredita, all’interno del cortile dell’abitazione di G.M., da due cani, un cane corso di proprietà dell’imputata e un cane di colore nero: la donna, in particolare, aveva riferito di essersi trovata addosso tutti e due i cani, nonostante la G.M. avesse cercato di “tirarli”. Tali dichiarazioni, ha rilevato il Giudice, non erano state smentite dal teste R.C., il quale aveva dichiarato di avere sentito delle urla e di avere visto G.M. stringere al suo petto il guinzaglio del suo cane per bloccarlo; il Giudice ha anche osservato che la deposizione del teste A.C., secondo il quale solo il cane nero aveva morso la persona offesa, non poteva inficiare la ricostruzione di M.G.C., posto che lo stesso teste aveva riferito di aver assistito alla scena da lontano e, dunque, da una prospettiva che non gli aveva consentito piena visuale.

Il percorso argomentativo della sentenza impugnata, nella valutazione del compendio probatorio, appare coerente e scevro da profili di illogicità, mentre il ricorrente, nel mettere in dubbio la credibilità della teste persona offesa, sottopone a questa Corte un giudizio che esula dal sindacato suo proprio. Neppure è ravvisabile il dedotto vizio di travisamento della prova (consistente non già nell’errata interpretazione, ma nella palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto, compiendo un errore idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio e rendendo conseguentemente illogica la motivazione): nel caso in esame il giudice, con esercizio del potere discrezionale adeguatamente motivato, si è limitato ad una valutazione globale del compendio probatorio e, in maniera non manifestamente illogica, ad attribuire credibilità alla ricostruzione della vittima.

  1. Il secondo motivo, con cui si censura la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, è manifestamente infondato. La condanna della proprietaria del cane è coerente con i principi di diritto afferenti alla responsabilità colposa collegata al danno cagionato da animale, che può essere affermata ove si accerti in positivo la colpa, in forza dei parametri stabiliti di obblighi di custodia dall’art. 672 cod. pen., nonostante l’intervenuta depenalizzazione di detta fattispecie (Sez. 4 n. 43420 del 17/07/2009, Badei, Rv. 245468) e per i quali “la posizione di garanzia assunta dal detentore di un cane, discendente anche dalle ordinanze del Ministero della Salute del 3 marzo 2009 e del 6 agosto 2013, impone l’obbligo di controllare e custodire l’animale adottando ogni cautela per evitare e prevenire le possibili aggressioni a terzi (Sez. 4 n. 31874 del 27/06/2019, Giambelluca, Rv. 276705). Nel caso di specie l’addebito di colpa nei confronti della ricorrente è stato ravvisato nel non avere dotato il cane di museruola, avendo il giudice ritenuto che la semplice dotazione del guinzaglio non fosse cautela sufficiente ad impedire l’evento poi effettivamente verificatosi.
  2. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la ricorrente non versasse in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, deve essere disposto a suo carico, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere di versare la somma di € 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, somma così determinata in considerazione delle ragioni di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.