Conformandosi al principio di diritto reso nel 2019 dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione Penale, la terza sezione della Suprema Corte con la sentenza n. 20238/2022 ribadisce l’irrilevanza penale della coltivazione di poche piante di cannabis, in ambito meramente domestico, in assenza di indici rivelatori di un concreto rischio per la pubblica salute, derivante dalla successiva cessione a terzi, indipendentemente dal grado di maturazione delle efflorescenze e dalla loro capacità drogante.
Di conseguenza, si conferma il definitivo superamento di un precedente orientamento giurisprudenziale, che aveva ravvisato il “penalmente rilevante” nella mancanza di autorizzazione alla coltivazione.
Così, infine, chiosa la sentenza: “…dal punto di vista meramente economico, la produzione di un bene per il suo esclusivo autoconsumo è fattore che, lungi dall’incrementare la vivacità di un mercato, tende piuttosto a deprimerlo essendo priva di offensività deve intendersi estranea alla tipicità penale come delineata dal legislatore”.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Luigi - Presidente -
Dott. GALTERIO Donatella - Consigliere -
Dott. SOCCI Angelo Matteo - Consigliere -
Dott. GENTILI Andrea - rel. Consigliere -
Dott. SEMERARO Luca - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.E., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1883/2019 della Corte di appello di Ancona del
10 dicembre 2019;
letti gli atti di causa, la sentenza impugnata e il ricorso
introduttivo; sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott.
Andrea GENTILI;
letta la requisitoria scritta del PM, in persona del Sostituto
Procuratore generale Dott.ssa FILIPPI Paola, il quale ha concluso
chiedendo l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
insussistenza del fatto.
Fatto
La Corte di appello di Ancona ha, con sentenza del 10 dicembre 2019, riformato la precedente decisione con la quale, in data 16 febbraio 2018, il Tribunale di Ascoli Piceno aveva assolto con formula ampia S.E. in ordine al reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, avendo egli atteso alla coltivazione di alcune piante di marijuana sul terrazzo della propria abitazione; in particolare, secondo quanto emerge dalla sentenza della Corte distrettuale, il Tribunale aveva escluso la rilevanza penale della condotta posta in essere dal S., essendo la produzione di sostanza stupefacente derivante dalla coltivazione in questione destinata esclusivamente all’uso personale del predetto.
Nel ribaltare la decisione del giudice di primo grado, affermando la responsabilità penale del prevenuto e condannando il medesimo, riconosciute in suo favore le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 4 di reclusione ed Euro 700,00 di multa, la Corte dorica ha ritenuto che la, pur modesta, attività di autoproduzione di sostanze stupefacenti, presumibilmente destinata al consumo personale dell’imputato, potendo comportare il ricavo di poco più di 30 dosi medie giornaliere di sostanza stupefacente, esulava dalla inoffensività del comportamento e, pertanto, anche sulla base della prevalente giurisprudenza di questa Corte in materia, avrebbe integrato gli estremi della rilevanza penale.
Avverso la predetta sentenza è insorto il prevenuto, articolando, con l’ausilio del proprio difensore fiduciario, ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo di impugnazione, con il quale lo stesso si è doluto, sotto il profilo della erronea applicazione normativa, del fatto che la Corte di Ancona abbia disatteso il recente insegnamento delle Sezioni unite penali di questa Corte di cassazione, secondo il quale sono da considerarsi estranee al fuoco della disposizione penale precettiva le attività di coltivazione di sostanza stupefacente di minime dimensioni, svolte in forma domestica e con tecniche rudimentali, che, per lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile e la mancanza di indici di inserimento della attività in tal modo svolta nel mercato degli stupefacenti, appaiono destinate all’uso esclusivamente personale.
In data 1 febbraio 2022 la ricorrente difesa ha fatto pervenire una memoria scritta con la quale ha insistito, associandosi alle conclusine del Procuratore generale, per l’annullamento della sentenza impugnata.
Deve, infatti, rilevarsi che in materia di coltivazione domestica di piante dalla quale sia possibile ricavare sostanze stupefacenti è stata, in tempi che, seppure non possono essere più definiti recenti, sono comunque successivi al momento in cui è stata adottata 1sentenza ora in rassegna, la cui pronunzia risale al 10 dicembre 2019, interessata da una sentenza delle Sezioni unite di questa Corte, attraverso la quale è stato definito un contrasto giurisprudenziale insorto in seno a questa stessa Corte di legittimità.
Infatti, a fronte di un orientamento che affondava le proprie radici in una ben consolidata, sino ad allora, giurisprudenza di questa Corte, che, d’altra parte, la stessa Corte di Ancona ha ritenuto richiamare, secondo la quale la coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti è penalmente rilevante a norma del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 26 e 28, a prescindere dalla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, posto che l’attività in sé, in difetto delle prescritte autorizzazioni, è da ritenere potenzialmente diffusiva della droga (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 19 dicembre 2013, n. 51497))senza che neppure rilevi il grado di maturazione della pianta o la quantità di principio attivo che sia in concreto estraibile da essa, essendo determinante solamente la conformità della pianta al tipo botanico previsto dal legislatore e la sua attitudine alla produzione delle sostanze droganti (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 22 luglio 2019, n. 32485), in quanto l’espressioneacoltivarg è riferibile all’intero ciclo evolutivo dell’organismo biologico (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 6 marzo 2017, n. 10931), si è andato, progressivamente, contrapponendo un orientamento sostanzialmente diverso.
Secondo quest’ultimo, il quale è sviluppato sotto il profilo della necessaria offensività del fatto in danno del bene interesse tutelato dalla norma (nel caso di specie la salute pubblica) acciocché esso assurga alla rilevanza penale, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante stupefacenti, non è sufficiente la mera coltivazione di una pianta conforme al tipo botanico vietato che, per maturazione, abbia raggiunto la soglia minima di capacità drogante, ma è altresì necessario verificare se tale attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica ed a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 luglio 2017, n. 36037; Corte di cassazione, Sezione VI penale, 26 febbraio 2016, n. 8058; idem Sezione VI penale 9 febbraio 2016, n. 5254).
Come si accennava, questo secondo orientamento è stato, con sentenza emessa dalle Sezioni unite penali di questa Corte, autorevolmente avallato, sulla base del rilievo secondo il quale non integra il reato di coltivazione di stupefacenti, per mancanza di tipicità, una condotta di coltivazione che, in assenza di significativi indici di un inserimento nel mercato illegale, denoti un nesso di immediatezza oggettiva con la destinazione esclusiva all’uso personale, in quanto svolta in forma domestica, utilizzando tecniche rudimentali e uno scarso numero di piante, da cui ricavare un modestissimo quantitativo di prodotto (Corte di cassazione, Sezioni unite penali 16 aprile 2020, n. 12348).
Un tale indirizzo, non senza qualche difficoltà e resistenza da parte della giurisprudenza di questa Corte (si veda, infatti, in senso sostanzialmente ripristinatorio del precedente orientamento: Corte di cassazione, Sezione VI penale, 29 gennaio 2021, n. 3593), è stato, successivamente ulteriormente riprodotto, rilevandosi che, laddove la coltivazione sia caratterizzata da forme del tutto elementari e non presenti la predisposizione di accorgimenti – come impianti di irrigazione e/o di illuminazione – finalizzati a rafforzare la produzione, e sia tale, in relazione al grado di sviluppo raggiunto dalle piante, da consentire l’estrazione di un quantitativo minimo di sostanze stupefacente ragionevolmente destinata all’uso personale dell’imputato, essa è priva di rilevanza penale (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 19 febbraio 2021, n. 6599).
Rileva questo Collegio, condividendo l’orientamento ultimo esposto, di dovere dare continuità ad esso e dovendosi, quanto al caso di specie, rilevare che la stessa Corte di appello di Ancona – a fronte della coltivazione di tre piantine di canapa indiana realizzata all’aperto nel balcone della abitazione occupata dal ricorrente, in assenza di strumentazioni tecniche atte ad incrementare artificialmente artificialmente la produttività delle medesime piantine – a concludere per la verosimile destinazione all’uso esclusivamente personale della esigua quantità di sostanza stupefacente ricavabile dalla attività svolta.
Sulla base di tale indicazione, contraddittoriamente sottovalutata dalla Corte di merito, ritiene il Collegio che, conformemente a quanto osservato dal Tribunale ascolano e disattendendo il contrario avviso di cui si è fatta portatrice la Corte dorica, la condotta del S. – non comportando essa alcuna effettiva lesione per il bene interesse tutelato dalla norma che si ipotizza essere stata violata da quello, attesa la irrilevanza da punto di vista dell’incremento del mercato delle sostanze stupefacenti dell’apporto che ad esso potrebbe essere fornito con la quantità prodotta dall’imputato, ma dovendo, anzi, considerare che, dal punto di vista meramente economico, la produzione di un bene per il suo esclusivo autoconsumo è fattore che, lungi dall’incrementare la vivacità di un mercato, tende piuttosto a deprimerlo essendo priva di offensività deve intendersi estranea alla tipicità penale come delineata dal legislatore.
La sentenza impugnata, con la quale, invece, il prevenuto è stato ritenuto responsabile del reato a lui ascritto deve, pertanto, essere annullata senza rinvio per la insussistenza del fatto.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2022