Un imputato veniva condannato per furto con strappo, aggravato per aver commesso il reato nei confronti di persona che aveva appena fruito di un servizi finanziari presso un istituto di credito (art. 625 c. 1 n. 8 ter c.p.), nonchè per l’aver profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa (art. 61 n. 5 c.p.), essendo il derubato un ottantacinquenne.
Secondo la Cassazione è corretta l’applicazione della prima delle due aggravanti sopra indicate, mentre deve essere disposto un nuovo giudizio, limitatamente alla seconda aggravante.
Recependo infatti il recente insegnamento delle Sezioni Unite Penali sul punto, deve essere infatti escluso ogni automatismo tra l’età avanzata della vittima e l’aggravante della cosiddetta “minorata difesa”.
In sostanza, il giudice dovrà verificare se, in concreto, sussista cumulativamente “a) l’esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di “ostacolo alla pubblica o privata difesa”; b) la produzione in concreto dell’effetto di “ostacolo alla pubblica o privata difesa” che ne sia effettivamente derivato; c) il fatto che l’agente ne abbia concretamente “profittato” (avendone, quindi, consapevolezza).”.
Nella sentenza impugnata, invece, non era stata fatta corretta applicazione dei detti principi e la sussistenza della minorata difesa era stata desunta, presuntivamente, dalla sola età “non più verde” della vittima.
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Cass. pen., sez. V, ud. 10 dicembre 2021 (dep. 7 febbraio 2022), n. 4273

Presidente Pezzullo – Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata del 19 ottobre 2020, la Corte d’appello di Venezia ha confermato la decisione del GIP del Tribunale di Padova del 25 ottobre 2018, con la quale L.C. è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all’art. 624 bis c.p., aggravato ai sensi dell’art. 625 c.p., n. 8 ter, e art. 61 c.p., n. 5, consumato in danno di N.E. subito dopo che la medesima, all’epoca dei fatti ottantacinquenne, aveva fruito di servizi finanziari.

2. Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso l’imputato per mezzo del difensore, Avv. S. P., affidando le proprie censure a tre motivi, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

2.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e correlato vizio della motivazione in riferimento all’aggravante di cui all’art. 625 c.p., n. 8 ter, per averne la Corte territoriale ricostruito i presupposti fattuali pur non avendo specificato la persona offesa dopo quanto tempo dall’uscita dall’ufficio postale si fosse consumata la condotta illecita, in tal modo reputando la consapevolezza dell’agente della pregressa fruizione di servizi finanziari in modo assiomatico; per contro, l’esecuzione del reato quando la vittima era già salita sulla bicicletta introduce un’apprezzabile frattura temporale che, in uno alla mancata esplicazione di un appostamento dell’imputato, evidenzia il vulnus della motivazione sul punto.

2.2. Con il secondo motivo, si prospetta analoga censura in riferimento all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, parimenti ritenuta in via assiomatica in virtù del mero dato anagrafico afferente la vittima, e non già all’esito della necessaria verifica ex ante ed in concreto.

2.3. Il terzo motivo contesta la ritenuta sussistenza della recidiva, avendo sul punto la Corte territoriale trascurato la vetustà dei precedenti e le diverse modalità di consumazione delle condotte.

3. Con requisitoria scritta D.L. 12 novembre 2021, n. 137, ex art. 23, il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso o, in subordine, per il rigetto.

Ritenuto in diritto

Il ricorso coglie nel segno limitatamente al secondo motivo, relativo all’aggravante di cui all’art. 61 c.p., n. 5, mentre è, nel resto, infondato.

1. Il primo motivo è inconducente.

1.1. La circostanza aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 1, n. 8 ter, è stata – come noto – introdotta dalla L. 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 26, nel dichiarato intento di apprestare una più incisiva tutela – potenziando l’efficacia deterrente della relativa sanzione – alla persona che stia fruendo, o abbia appena fruito, di servizi finanziari e che, in virtù della manipolazione di denaro, si trovi maggiormente esposta al rischio di condotte illecite, con ulteriore pericolo di pregiudizio anche all’integrità personale.

La ratio della dell’aggravante in disamina risiede, dunque, nell’esigenza di una maggior tutela degli utenti che fruiscono dei servizi finanziari e che si trovano, per ciò solo, in una condizione di oggettiva “minorata difesa” a causa della ragionevole previsione, fondata su collaudate massime di esperienza, del possesso di denaro, che espone la persona ad un elevato profilo di rischio e, nel contempo, agevola l’autore del reato nell’individuazione dell’obiettivo, esposto al vulnus alle possibilità di vigilanza della rispetto ai propri beni ed all’integrità fisica; profilo che la norma rinviene sia nella fasi preliminari e successive delle operazioni di deposito e prelievo, che nel corso della fruizione dei servizi finanziari.

Il fondamento della predetta aggravante è stato, dunque, generalmente ravvisato, in ossequio al principio di offensività, nel maggior disvalore che la condotta assume laddove l’agente approfitti delle possibilità di facilitazione dell’azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l’azione viene a svolgersi.

Siffatto profilo di qualificata offensività giustifica l’inasprimento sanzionatorio, in linea con l’esigenza di interpretazione conforme a Costituzione delle norme incriminatrici e di quelle che ne aggravano la dimensione sanzionatoria, che non tollerano automatismi fondati su presunzioni assolute (Corte Cost. n. 48/2015, 213/2013, 57/2013, 110/2012, 331/2011, 164/2011, 265/2010, n. 354/2002 e n. 370/1996).

L’aggravante in parola – al pari delle circostanze che si caratterizzano per l’agevolazione derivante dall’approfittamento di particolari circostanze – assume natura oggettiva, compatibile con il dolo eventuale, in quanto è sufficiente che il soggetto attivo percepisca in modo cosciente il vantaggio derivante dalla situazione che pregiudica la difesa della vittima e se ne giovi all’atto di realizzare la condotta (V. per identità di ratio Sez. 1, n. 39349 del 11/07/2019, Marini, Rv. 276876).

1.2. Nel quadro così delineato, le censure del ricorrente non colgono nel segno.

La Corte territoriale ha evidenziato un complesso di circostanze che, lungi dal fermarsi al mero rilievo postumo del prelievo della pensione, lumeggiano ex ante la consapevolezza dell’agente delle operazioni compiute e della ragionevole disponibilità del relativa provvista finanziaria, sottolineando l’ininterrotta sequenza temporale tra l’uscita dall’ufficio postale e la condotta dell’agente, oltre al riferimento al dato notorio del periodo del mese di erogazione della pensione. Trattasi di un percorso argomentativo che non evidenzia margine alcuno di irragionevolezza, e che è contrastato dalla mera prospettazione di una cesura temporale riferita alla circostanza che la vittima fosse montata sulla bicicletta, senza specificare perché siffatta ordinaria manovra avrebbe richiesto un tempo tale da introdurre un’apprezzabile cesura nell’azione complessiva.

Il primo motivo è, pertanto, infondato.

2. È del pari inconducente il terzo motivo sul punto relativo al diniego della disapplicazione della recidiva.

La Corte territoriale ha dato conto del fatto che la condotta in esame costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato alla stregua della gravità dei precedenti penali; elemento rispetto al quale l’epoca di consumazione è stata reputata recessiva, in tal modo svolgendo una disamina, adeguatamente rappresentata in motivazione (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, Franco, Rv. 274782), che non evidenzia margini di irragionevolezza, e che il ricorrente contrasta mediante adduzione di non meglio specificate diverse modalità di consumazione dei pregressi illeciti.

3. È, invece, fondato il rilievo svolto nel secondo motivo in relazione alla residua aggravante.

3.1. Sull’aggravante della minorata difesa si sono appena pronunciate le Sezioni unite di questa Corte (n. 40275 del 15/07/2021, Cardellini, Rv. 282095) che, risolvendo il contrasto delineatosi, con diverse accentuazioni, nella giurisprudenza di legittimità, hanno non solo affermato come, ai fini dell’integrazione della circostanza aggravante prevista dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5, le circostanze di tempo, di luogo o di persona, di cui l’agente abbia profittato, debbano tradursi, in concreto, in una particolare situazione di vulnerabilità del soggetto passivo del reato, non essendo sufficiente l’idoneità astratta delle predette condizioni a favorire la commissione dello stesso; ma ne hanno declinato il metodo di accertamento, che si declina attraverso tre verifiche, riguardanti, nell’ordine: a) l’esistenza di una circostanza di tempo, di luogo o di persona in astratto idonea ad ingenerare una situazione di “ostacolo alla pubblica o privata difesa”; b) la produzione in concreto dell’effetto di “ostacolo alla pubblica o privata difesa” che ne sia effettivamente derivato; c) il fatto che l’agente ne abbia concretamente “profittato” (avendone, quindi, consapevolezza).

La ratio decidendi della predetta decisione, fonda, in altri termini – ed in una prospettiva, per così dire, tridimensionale, sul rilievo della condizione in astratto idonea all’integrazione della minorata difesa; sulla successiva verifica che la pubblica o privata difesa siano rimaste in concreto ostacolate dalla predetta condizione; infine, sulla insussistenza (elemento negativo) che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.

Le Sezioni unite hanno, peraltro, analiticamente affrontato il profilo di minorata difesa correlato alle condizioni relative all’età della persona offesa, sulle quali si era parimenti registrato un contrasto interpretativo (espresso da Sez. 2, n. 37865 del 23/09/2020, Chiaramida, non mass. e, in senso opposto, da Sez. 5, n. 12796 del 21/02/2019, De Paola, Rv. 275305), ripudiando anche al riguardo ogni automatismo e presunzione e postulando, pertanto, il medesimo metodo di verifica.

In tal senso, è stato richiamato quanto già chiarito in generale da questa Corte (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, in motivazione): “l’interprete delle norme penali ha l’obbligo di adattarle alla Costituzione in via ermeneutica, rendendole applicabili solo ai fatti concretamente offensivi, offensivi in misura apprezzabile”: pertanto, sia i “singoli tipi di reato” che – si aggiunge, per evidente identità di (Ndr: testo originale non comprensibile) – gli elementi circostanziali, “dovranno essere ricostruiti in conformità al principio di offensività, sicché tra i molteplici significati eventualmente compatibili con la lettera della legge si dovrà operare una scelta con l’aiuto del criterio del bene giuridico, considerando fuori del tipo di fatto incriminato i comportamenti non offensivi dell’interesse protetto”.

E solo un accertamento in concreto, caso per caso, delle condizioni che consentono, attraverso una complessiva valutazione, di ritenere effettivamente realizzata una diminuita capacità di difesa, sia pubblica che privata, è idoneo ad assicurare la coerenza dell’applicazione della circostanza aggravante con il suo fondamento giustificativo, ossia, come si è visto, con il maggior disvalore della condotta derivante dall’approfittamento delle “possibilità di facilitazione dell’azione delittuosa offerte dal particolare contesto in cui l’azione verrà a svolgersi”; maggior disvalore, a sua volta, necessario a dar conto della concreta, maggiore offensività che giustifica, nel singolo caso, l’aggravamento sanzionatorio comminato dall’art. 61 c.p., comma 1, n. 5.

Deve essere, pertanto, qui affermato come la commissione del reato in danno di soggetto ottuagenario è idonea ad integrare, anche in difetto di ulteriori circostanze di tempo, di luogo o di persona, la circostanza aggravante della cosiddetta “minorata difesa”, ma è sempre necessario che la pubblica o privata difesa ne siano rimaste in concreto ostacolate e che non ricorrano circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.

3.2. La sentenza impugnata non ha fatto buon governo degli enunciati principi.

In replica alle deduzioni svolte con l’appello, con le quali si segnalava la necessità di accertamento in concreto della condizione anagrafica della vittima in termini di effettivo ostacolo della difesa, la Corte territoriale ha rassegnato un’argomentazione che, nel valorizzare il dato estrinseco (rectius: estetico) della riconoscibilità del profilo anagrafico della vittima, ottuagenaria, ha finito per privilegiare il dato meramente presuntivo correlato al deficit reattivo connesso, di regola, all’avanzare dell’età, senza esplorare gli ulteriori pani d’indagine della verifica del se la predetta condizione abbia in concreto ostacolato la pubblica o privata difesa e se non ricorressero, invece, circostanze ulteriori, di natura diversa, idonee a neutralizzare il predetto effetto.

4. Alla luce di quanto osservato la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente al punto segnalato, perché la Corte di merito – in piena libertà di giudizio, ma facendo corretta applicazione dei principi enunciati – proceda a nuovo esame sull’aggarvante di cui all’art. 61 c.p., n. 5.

Nel resto, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all‘art. 61 c.p., n. 5, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della corte di appello di Venezia; rigetta nel resto il ricorso.