Presidente Fidelbo – Relatore De Amicis
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 3 marzo 2021 il Tribunale del riesame di Milano ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello depositato il 26 febbraio 2021 (ed inviato, nello stesso giorno, con p.e.c. alle ore 14.07 e via fax alle ore 14.30) dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Varese avverso l’ordinanza del 16 febbraio 2021, con la quale il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Varese rigettava la richiesta di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di T.P.M.T. . 2. Avverso la richiamata decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano deducendo, con un primo motivo, violazione di legge in relazione al combinato disposto dell’art. 310 c.p.p., comma 2, art. 309 c.p.p., comma 4, art. 583 c.p.p. e D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 24, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, art. 1, comma 1, nonché in relazione agli artt. 3,32 e 111 Cost.. Evidenzia il ricorrente che l’appello – materialmente depositato presso la Cancelleria del Tribunale del riesame oltre l’orario di chiusura al pubblico dell’ultimo giorno utile per la tempestiva interposizione del gravame – è stato anche inviato tramite p.e.c. all’indirizzo del medesimo organo giudicante, come da ricevuta allegata che ne attesta il deposito telematico, intervenuto alle ore 14,07 dello stesso giorno di scadenza del termine per impugnare ai sensi dell’art. 309 c.p.p., comma 1 e art. 310 c.p.p., comma 2. Tanto avrebbe reso l’appello tempestivo ai sensi di quanto previsto dal D.L. n. 137 del 2020, art. 24, così come convertito con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020, il cui disposto, avuto riguardo ai commi 4, 6-bis e 6-quinquies, legittimerebbe, secondo una lettura costituzionalmente orientata del testo, anche la parte pubblica al deposito in forma telematica delle impugnazioni, comprese quelle cautelari, residuando altrimenti l’illegittimità costituzionale delle medesime disposizioni, perché in conflitto con l’art. 3 Cost., art. 32 Cost., comma 1 e art. 111 Cost., commi 1 e 2. Deposito telematico, quello operato nella specie, da ritenersi tempestivo perché consentito, ai sensi dell’ultimo periodo di cui del citato art. 24, comma 4, entro la fine del giorno di scadenza del termine per impugnare, in deroga a quanto previsto in via generala dall’art. 172 c.p.p., comma 6. 2.1. Con un secondo motivo, inoltre, si deduce in via subordinata l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 137 del 2020, art. 24, commi 4, 6-bis e 6-quinquies, nella parte in cui non consente al P.M. il deposito con valore legale dell’atto di impugnazione ex art. 310 c.p.p., mediante l’invio tramite posta elettronica certificata.
3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 19 aprile 2021 il Procuratore generale ha rassegnato le sue conclusioni chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni precisate di seguito. 2. Non è revocabile in dubbio che le modifiche apportate, in sede di conversione, del D.L. n. 137 del 2020, art. 24, dalla L. n. 176 del 2020, consentono, per il circoscritto periodo considerato dalla normativa speciale dettata per l’emergenza epidemiologica, il deposito di qualsivoglia atto di impugnazione, anche cautelare, tramite l’invio dell’atto mediante p.e.c.. Depongono in tal senso, in modo inequivoco, del citato art. 24, commi dal 6-bis al 6-decies, nella sua attuale formulazione, con particolare riguardo al disposto dei commi 6-quinquies e 6-decies che, in termini reiterativi, definiscono nella maniera più ampia possibile il perimetro di estensione della normativa in oggetto, destinato a comprendere gli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, senza distinzioni di sorta. Tanto consente di ritenere non più attuale la lettura interpretativa del medesimo disposto, nella sua originaria formulazione, recentemente offerta da questa Corte (Sez. 1, n. 32566 del 03/11/2020, Caprioli, Rv. 279737) in forza della quale è stata esclusa la possibilità di consentire, in alternativa alle forme ordinarie, il deposito telematico delle impugnazioni, perché il tenore dell’art. 24, comma 4, citato, all’epoca, non conteneva alcuna deroga alle previsioni sia del codice di procedura penale in tema di modalità del deposito delle impugnazioni, sia del D.L. 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni dalla L. 22 febbraio 2010, n. 24, e sia anche del regolamento delegato adottato con D.M. Giustizia 21 febbraio 2011, n. 44, concernente le regole tecniche per il processo civile e penale telematici. 3. Ferma, dunque, l’astratta possibilità di procedere, avvalendosi dell’invio tramite p.e.c., al deposito dell’atto di impugnazione, anche per i ricorsi, quale quello di specie, di matrice cautelare, nel caso sono anche incontroversi la tardività del deposito cartaceo, presso la cancelleria del Tribunale del riesame competente, dell’appello interposto nell’occasione dall’odierna parte ricorrente; al tempo stesso, la teorica possibilità di ritenere tempestivo il medesimo gravame facendo riferimento alla legislazione emergenziale in disamina. Quanto a tale ultimo profilo, in linea con quanto evidenziato nel ricorso, va infatti rimarcato che del citato art. 24, comma 4, ultimo periodo, consente il deposito entro la fine del giorno di scadenza dell’incombente da eseguire, in deroga, dunque, a quanto previsto, in via generale, dall’art. 172 c.p.p., comma 6; e non sembra discutibile l’estensione di siffatto principio agli atti di impugnazione, atteso che dell’art. 24 , comma 4, costituisce la disposizione di riferimento di tutti gli atti del processo penale, diversi da quelli considerati dai primi due commi dello citato articolo, suscettibili di deposito per il tramite dell’invio a mezzo p.e.c., come del resto reso inequivoco dal tenore letterale del primo periodo del successivo comma 6-bis. 4. Ciò precisato, il tema posto allo scrutinio della Corte, alla luce di tali precondizioni, attiene alla possibilità di interpretare il contenuto delle dette previsioni contenute nell’art. 24 citato in termini tali da ritenere che una siffatta, alternativa, forma di deposito dell’atto di impugnazione possa considerarsi consentita, oltre che alle parti private, anche al Pubblico Ministero ricorrente. Ad avviso della Corte, una tale soluzione interpretativa non trova conforto nel dato normativo offerto dall’attuale tenore del D.L. n. 137 del 2020, art. 24: in particolare non colgono nel segno, e per più concorrenti ragioni, i tentativi della Procura ricorrente di forzarne l’interpretazione alla luce di una rivendicata lettura costituzionalmente orientata che, se non percorsa, darebbe corpo ai prospettati dubbi di tenuta costituzionale della disciplina in oggetto. 5. Giova sinteticamente ribadire che in tema di impugnazioni è pacifica l’affermazione di questa Corte in forza della quale le modalità di presentazione e di spedizione dell’atto, disciplinate dall’art. 583 c.p.p., sono tassative e inderogabili, non ammettendo equipollenti (Sez. 6, n. 41283 del 11/9/2019, Di Nolfo, Rv. 277369; Sez. 6, n. 55444, del 05/12/2017, Rv. 271677; Sez. 5, n. 24332 del 05/03/2015, Alamaru, Rv. 263900). Tanto impone all’interprete, nell’esegesi del dato che occupa, di dare essenziale rilievo al relativo portato letterale. E, nel caso, di ritenere non percorribile la strada suggerita dalla parte ricorrente, volta ad offrire una lettura delle disposizioni oggetto di scrutinio evidentemente distante dalla loro rappresentazione letterale. In termini affatto equivoci, le disposizioni dell’art. 24, oggetto di immediata disamina prendono in considerazione unicamente i difensori delle parti private quali soggetti legittimati ad avvalersi della possibilità di tale alternativa forma di deposito dell’atto di impugnazione. Ogni segmento di rilievo nello sviluppo complessivo di tale specifica disciplina, infatti, vede al centro, esclusivamente, la figura dei difensori. Ne suonano a conferma i riferimenti espressi alle modalità di invio del ricorso (comma 6-ter) e dei motivi nuovi (comma 6-quater); alla sottoscrizione digitale dei documenti allegati in punto di conformità all’originale (comma 6- bis); ai profili di specifica inammissibilità dell’impugnazione depositata nelle forme dettate da tale disciplina speciale, ricostruite guardando unicamente al detto profilo soggettivo (comma 6-sexies, lett. a), b), d)). Il tutto in relazione ad incombenti che non possono ritenersi esclusivamente riferibili ad una sola parte del processo, così che non avrebbe senso alcuno limitarne il rilievo operativo ai soli difensori. Il dato letterale della disposizione in disamina non emargina dunque incertezze in ordine alla riferibilità del disposto normativo in disamina unicamente ai difensori delle parti e non al Pubblico ministero. 6. Tra i diversi momenti cui risulta subordinata, dalla legislazione speciale, l’utile proposizione dell’impugnazione trasmessa via p.e.c., assume rilievo centrale, anche per la definizione del presente giudizio, quello della imprescindibile sottoscrizione digitale del ricorso. Ai sensi del citato art. 24, comma 6-bis, “quando il deposito di cui al comma 4 ha ad oggetto un’impugnazione, l’atto in forma di documento informatico è sottoscritto digitalmente secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati di cui al comma 4 e contiene la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all’originale”. Una volta sottoscritto digitalmente, l’atto di impugnazione, in ragione di quanto previsto dal successivo comma 6- ter, deve essere trasmesso tramite posta elettronica certificata dall’indirizzo del difensore a quello dell’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato, individuato ai sensi del comma 4, con le modalità e nel rispetto delle specifiche tecniche ivi indicate. Previsioni, queste ultime, che ove non rispettate danno luogo ad espresse ipotesi di inammissibilità dell’impugnazione giusta quanto previsto del comma 6-sexies, lett. a), c), ad integrazione della disciplina contenuta nell’art. 591 c.p.p.. 7. Nel caso è pacifico che l’impugnazione oggetto di scrutinio è stata trasmessa dalla casella di posta certificata assegnata all’ufficio ricorrente a quella del Tribunale del riesame di Milano, entrambe individuate in forza del provvedimento reso in data 9 novembre 2020 dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia a mente del D.L. n. 137 del 2020, art. 24, comma 4 (reperibile nel portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia all’indirizzo: (OMISSIS) ). Altrettanto pacificamente, il ricorso non risulta sottoscritto digitalmente dal pubblico ministero ricorrente secondo le modalità tecniche imposte dal medesimo decreto direttoriale. La stessa parte pubblica ricorrente si sofferma sul punto rimarcando “l’assenza di strumentazione tecnica che allo stato consenta” di ovviare a siffatto incombente, previsto dalla normativa di riferimento a pena di inammissibilità, essendo incontroverso che, allo stato attuale, gli uffici della Procura non sono muniti di una firma digitale che consenta loro di provvedere in linea con le citate disposizioni tecniche. 8. Tali ultime indicazioni in fatto assumono un rilievo assorbente. 8.1. In parte qua ritiene il Collegio certamente condivisibili, perché ancora attuali, le indicazioni di principio espresse nel citato arresto di questa Corte (n. 32566 del 03/11/2020, Caprioli), con il quale è stato già scrutinato il disposto dell’art. 24 citato, nel suo originario tenore, quanto alle possibilità che lo stesso poteva garantire di estendere alle impugnazioni il deposito telematico via p.e.c.. In quella occasione, in linea del resto con la consolidata giurisprudenza della Corte formatasi in ordine alla possibilità di proporre impugnazioni tramite p.e.c. prima dell’avvento della legislazione emergenziale, si è rimarcato che “la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato la specifica rilevanza dell’accertamento dell’identità di colui che sottoscrive l’atto, con particolare riguardo agli atti di impugnazione (Sez. 2, n. 25967 del 28/04/2004, De Silvio, Rv. 229709), sicché la procedura di deposito dell’atto assume una funzione essenziale, strumentale alla verifica della legittimazione di colui che propone l’impugnazione (costituente condizione di ammissibilità della stessa: art. 591 c.p.p., comma 1, lett. a)”; e, con riguardo alla questione dell’identificazione del soggetto dal quale proviene l’impugnazione, che “la posta elettronica certificata non attribuisce la paternità del documento trasmesso, svolgendo unicamente la funzione di certificare la provenienza del messaggio dalla casella di posta del mittente e la ricezione di esso da parte del destinatario (art. 48 Codice dell’amministrazione digitale, approvato con D.Lgs. n. 82 del 2005). La paternità è, viceversa, attribuita dalla firma digitale…”. 8.2. La firma digitale, dunque, al pari della sottoscrizione del documento cartaceo, consente di riferire l’impugnazione all’autore della stessa. Assume, pertanto, un rilievo essenziale nell’intero complesso di norme che legittimano la possibilità, in alternativa alle forme ordinarie di deposito, di proporre l’impugnazione tramite p.e.c.. La sua assenza, a differenza di quanto rivendicato nel ricorso, non può ritenersi superata dalla sola certezza della provenienza dell’atto dall’ufficio di riferimento, nel caso garantita dall’uso della casella di posta certificata assegnata alla relativa segreteria: a ragionare diversamente si dovrebbe ritenere che un atto cartaceo non sottoscritto dal Pubblico Ministero che impugna varrebbe comunque a incardinare ritualmente l’impugnazione solo perché consegnato dall’addetto di segreteria dell’ufficio di riferimento. 8.3. In tal senso, del resto, si è mossa questa Corte nell’unico precedente (Sez. 1, n. 12007 del 20 gennaio 2021, Koburova, n. m.), con il quale, in un caso di impugnazione proposta da una Procura, si è messo in evidenza, in termini trancianti, che, laddove, come nella specie, “il file allegato alla PEC” risulti “costituito da una scansione per immagine dell’originale analogico dell’atto sottoscritto di pugno dal ricorrente e non, invece, come previsto dal legislatore, dall’atto con firma digitale”, il ricorso non possa essere esaminato nel merito vada definito pregiudizialmente atteso che “in ogni caso, l’assenza della firma digitale dell’atto” lo rende “comunque inammissibile”. 9. Le superiori considerazioni fanno anche giustizia dei paventati dubbi di legittimità costituzionale delle norme in questione se interpretate nel senso qui privilegiato dalla Corte. L’impossibilità, per gli uffici della Procura, di sottoscrivere digitalmente l’atto di impugnazione, costituisce la chiave di lettura delle ragioni di sistema in virtù delle quali il legislatore ha declinato, in parte qua, la normativa emergenziale limitandone il portato ai soli difensori delle parti private; al contempo, rappresenta l’ostacolo a monte di qualsivoglia valutazione diretta a verificare nella specie la tenuta costituzionale della normativa oggetto di scrutinio nei termini prospettati dalla parte pubblica ricorrente. 9.1. Sotto il primo versante va considerato che le disposizioni in questione, allo stato, hanno un limitato perimetro temporale di operatività (da ultimo prorogato a tutto il 31 luglio 2021 in forza di quanto previsto dal D.L. 1 aprile 2021, n. 44, art. 6, comma 1, lett. d, n. 3), giustificato dall’intrecciarsi sinergico di diverse ragioni fondanti: per un verso, l’emergenza sanitaria legata al noto fenomeno pandemico, che ha imposto in termini immediati soluzioni dirette a ridurre drasticamente l’accesso del pubblico presso gli uffici giudiziari, garantendo, al contempo, l’utile esercizio delle essenziali prerogative processuali funzionali ad un continuativo esercizio dell’attività giurisdizionale; per altro verso, l’attuale stato di realizzazione del processo penale telematico, implementandone, ove possibile, gli strumenti di esecuzione, negli stringenti termini imposti dall’urgenza di intervenire. Da qui, l’attivazione, per quel che qui interessa, anche del deposito telematico degli atti di impugnazione, favorito, sul piano tecnico, dalle disposizioni contenute nel citato decreto del 9 novembre 2020 reso dal direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, emanato anticipatamente rispetto alle modifiche apportate al D.L. n. 137 del 2020, art. 24, dalla legge di conversione, così da costituire la base strutturale sulla quale si è poi adagiata la normativa primaria dettata in deroga alle disposizioni codicistiche. In questa ottica, le riscontrate difficoltà tecniche legate alla impossibilità per gli uffici del Pubblico ministero di sottoscrivere digitalmente gli atti di impugnazione hanno finito per imporre la scelta, unidirezionale, assunta con la normativa in disamina. Il tutto attraverso una ragionevole composizione dei valori in gioco, atteso che l’aver favorito le possibilità, alternative, di deposito telematico da parte dei difensori delle parti private ha consentito, nei limiti di quanto permesso dallo stato di attuazione del processo penale telematico, di realizzare l’obiettivo fondante l’intervento normativo in disamina, quello di (contribuire a) limitare, nel breve periodo, uno dei motivi di accesso agli uffici giudiziari. Obiettivo, questo, non messo in discussione dalla mancata estensione della detta facoltà anche alla parte pubblica, considerata l’evidente marginalità del relativo flusso di accesso peraltro, in genere, interno agli stessi uffici giudiziari. 9.2. Da qui la manifesta infondatezza dei rilevati dubbi di costituzionalità riferiti nel ricorso non solo in relazione ai rivendicati parametri di cui agli artt. 3 e 32 Cost., ma anche a quello di cui all’art. 111 Cost.. L’asimmetria determinata dalle previsioni soggette a scrutinio, ancor più considerando la limitatezza temporale che ne definisce il perimetro di operatività, oltre a trovare una adeguata ragione giustificatrice nelle superiori indicazioni ostative ad una immediata integrale estensione delle possibilità di deposito telematico delle impugnazioni a tutte le parti del processo, non incide sulle prerogative di puntuale esercizio della relativa funzione in capo alla parte pubblica possibile ricorrente. Si risolve, infatti, in un più agevole esercizio dell’incombente per i difensori che non depotenzia la funzione contrapposta riservata all’ufficio del P.M.: a tutto voler concedere, infatti, l’unica differenziazione di rilievo potrebbe essere rintracciata nella possibilità, per i difensori delle parti private, di utile deposito dell’atto di impugnazione oltre i limiti ricavabili dell’art. 172 c.p.p., comma 6. Situazione, questa, alla quale la parte pubblica potrebbe comunque ovviare, avvalendosi delle possibilità di impugnazione a mezzo raccomandata, dettate dall’art. 583 c.p.p., comma 2 (Sez. 6, n. 23257 del 19/05/2016, Rv. 267093). 10. A ben vedere, infine, l’omessa sottoscrizione digitale dell’atto renderebbe comunque irrilevante la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente: l’incidente di legittimità costituzionale, infatti, non potrebbe mai essere attivato perché non idoneo a influire sul giudizio principale, comunque irritualmente introdotto anche in esito a un eventuale intervento della Corte Costituzionale diretto ad estendere i confini soggettivi di legittimazione del deposito telematico previsto dalla disciplina in questione. Ciò a meno di non voler mettere in discussione anche la legittimità costituzionale della previsione che sancisce l’inammissibilità del ricorso se non sottoscritto digitalmente: aspetto questo che non risulta neppure paventato dall’odierna parte ricorrente, anche in considerazione della centralità del rilievo da ascrivere al requisito della forma digitale in ragione di quanto sopra rappresentato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.