Un cane di piccola taglia viene sbranato da cani feroci ed il suo proprietario, nel vano tentativo di liberarlo, è ferito dai loro morsi.
Il Tribunale e la Corte d’appello condannano il padrone del cane per il reato di lesioni personali lievi.
Questa è la vicenda sottesa alla sentenza n. 11093 emessa dalla Corte di Cassazione, sez. IV Penale, i 23 marzo 2021 e depositata ieri (23 marzo 2021).
Il proprietario dell’animale assume una posizione di garanzia, che gli impone gli obblighi di assumere ogni più opportuna e necessaria accortezza, finalizzata ad evitare danni ai terzi.
In particolare, è pacifico che: “In tema di omessa custodia di animali, al fine di escludere la colpa, consistente nella mancata adozione delle dovute cautele, non è sufficiente che l’animale sia tenuto in un luogo privato e recintato, ma è necessario che tale luogo sia idoneo a evitare che lo stesso possa sottrarsi alla custodia o al controllo.”.
L’aspecificità del ricorso ne comporta l’inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 3 – 23 marzo 2021, n. 11093
Presidente Piccialli – Relatore Cenci
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Firenze il 12 novembre 2019 ha integralmente confermato la sentenza, impugnata dall’imputata, con cui il Tribunale di Siena il 6 ottobre 2017, all’esito del dibattimento, per quanto in questa sede rileva, ha riconosciuto H.S.M.A. responsabile del reato di lesioni colpose lievi nei confronti di B.G. , in conseguenza condannando la stessa, con le circostanze attenuanti generiche, alla pena di giustizia, oltre al risarcimento, in forma generica, dei danni patiti dalla parte civile.
2. Il fatto, in sintesi, come ricostruito concordemente dai giudici di merito.
Nel pomeriggio del (omissis) B.G. , mentre era a passeggio con il proprio cane di piccola taglia, in particolare percorrendo un’area condominiale confinante con la proprietà privata di H.S.M.A. , si è sentito tirare il guinzaglio al quale era legato il proprio barboncino nano e si è avveduto che uno dei cinque cani pitbull incrociati con altre razze, già noti per la propria aggressività, sportosi fuori dalla proprietà dell’imputata dopo essersi affacciato con il muso sotto la recinzione a maglie, recinzione che era solo appoggiata sopra il muretto di confine di laterizi di circa 30 centimetri di altezza e non già fissata, ha azzannato il cagnolino e lo ha trascinato all’interno della proprietà, dove è stato sbranato dai cani feroci.
B.G. , nel tentativo – purtroppo rivelatosi vano – di salvare il proprio cagnolino, ha infilato le braccia sotto la rete all’interno della proprietà H. ed è stato morso dai cani agli arti inferiori.
I giudici di merito hanno valorizzato, anche con richiamo di più precedenti di legittimità (v. specc. p. 9-10 della decisione del Tribunale), la posizione di garanzia del proprietario e/o del detentore dei cani al fine di evitare aggressioni da parte degli stessi e la mancata adozione da parte dell’imputata, che è risultata essere proprietaria sia dei cani che del terreno ove gli animali si trovavano, delle opportune cautele (art. 40 c.p., comma 2).
3. Ricorre per la cassazione della sentenza, tramite difensore di fiducia, H.S.M.A. affidandosi a tre motivi, con i quali denunzia promiscuamente violazione di legge e difetto di motivazione.
3.1. Con il primo motivo la ricorrente censura ritenuta violazione degli artt. 590 e 40 c.p. ed omessa, erronea, contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione in punto di sussistenza del reato come contestato.
Richiamata la motivazione della Corte territoriale, la ricorrente pone la stessa a confronto con quella del Tribunale e sottolinea i seguenti aspetti, a suo dire, irrisolti: non sarebbe mai esistito un buco nella rete di recinzione della proprietà della signora H. , come emerso da varie fonti di prova testimoniali, tra cui il Carabiniere R. ; non sarebbe emerso come il cane o i cani dell’imputata sia/siano fuoriuscito/i dalla recinzione per prendere il barboncino; non si capirebbe quale sarebbe la prova delle lesioni patite da B. ; non si comprenderebbe se sussista o meno un nesso causale tra il comportamento omissivo improprio contestato alla donna e l’evento lesivo; si ignorerebbe la causa della morte del barboncino, se cioè per essere stato sbranato o per morte naturale, non essendo stata eseguita autopsia sul piccolo animale.
Dunque, anche tenuto conto che i testimoni cui hanno prestato fede i giudici di merito, comprese le parti civili, sarebbero, ad avviso della ricorrente, inattendibili e prive di elementi di riscontro, la Corte di appello avrebbe dovuto assolvere l’imputata, per non avere raggiunto la prova dei fatti contestati.
3.2. Con il secondo motivo lamenta violazione e falsa applicazione della legge penale ed omessa, erriinea, contraddittoria e manifesta illogicità della giustificazione quanto alla sussistenza del nesso causale tra il fatto contestato e le lesioni che ne sarebbero derivate, così come contestate nell’editto.
Dalla certificazione allegata alla perizia emergerebbe che nessuna delle ferite sulla braccia della vittima sarebbe compatibile con plurimi morsi di cane.
3.3. Infine, mediante l’ultimo motivo H.S.M.A. si duole della ulteriore violazione degli artt. 40 e 590 c.p. ed omisione, erroneità, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione “in punto alla sussistenza del nesso causale tra il comportamento omissivo improprio contestato alla H. e l’evento lesivo contestato in relazione al reato come contestato ne/ capo di imputazione” (così alla p. 9 del ricorso).
La motivazione della Corte di appello sarebbe nulla per sostanziale omissione di pronunzia in relazione allo specifico motivo di doglianza della difesa dell’imputata, che con l’appello ha chiesto l’assoluzione in ragione della omessa considerazione di prove inequivocabili consistenti nella dichiarazione di due testimoni (il Carabiniere R. e D. ) circa l’assenza di danneggiamenti o di fori della rete da cui potessero passare gli animali. Inoltre, la Corte territoriale non avrebbe motivato sulla circostanza che la rete non fosse ancorata al suolo.
Infine, trattandosi di reato omissivo improprio, non sarebbe stato rispettato il canone di giudizio dell’alta probabilità razionale puntualizzato dalle Sezioni Unite nella pronuncia n. 390328 del 10/07/201023, ric. Franzese, Rv. 22128.
Si chiede, dunque, l’annullamento della sentenza impugnata.
4. Il P.G. della Corte di cassazione il 13 febbraio 2021 nelle conclusioni scritte D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, ex art. 23, comma 8, convertito, con modificaz., nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha chiesto il rigetto del ricorso.
5. Con memoria del 22 febbraio 2021 la difesa della parte civile B.G. ha chiesto dichiararsi inammissibile o, in subordine, rigettarsi il ricorso dell’imputata; in ogni caso, con conferma delle statuizioni civili e con vittoria di spese, per la liquidazione delle quali si è rimessa a giustizia.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è manifestamente infondato, sotto tutti i profili oggetto di doglianza.
I tre motivi, infatti, sotto l’apparente richiamo ad asserite violazioni di legge, si limitano, in realtà, a reiterare le stesse doglianze già svolte con l’impugnazione di merito (cfr. atto di appello) e che hanno già trovato risposta più che adeguata nella doppia conforme di merito.
Il ricorso è in larga parte costruito in fatto ed è aspecifico, non confrontandosi effettivamente con la sentenza impugnata: la difesa dell’imputata, in particolare, continua ad insistere sui temi della non esistenza di buchi nella rete e della asserita – ma non meglio spiegata – inattendibilità dei testimoni, trascurando che i giudici di merito hanno concordemente ritenuto che il cane feroce non è uscito da un foro ma si è infilato sotto la rete, che la rete era solo appoggiata sul muretto di trenta centimetri e non era fissata ad esso, richiamando al riguardo sia fotografie che testimonianze provenienti da testi qualificati (Carabinieri) ovvero che hanno assistito direttamente agli accadimenti (v. pp. 6-7 della decisione impugnata e pp. 6-9 di quella del Tribunale).
L’impugnazione ignora la reale struttura motivazionale della sentenza (ad esempio, sottolineando la mancata autopsia del povero animaletto dilaniato dai feroci cani dell’imputata), che non è basata su di un ragionamento affidato ad una qualificata credibilità razionale ma su una precisa dinamica descritta concordemente da più testi oculari ritenuti attendibili ed ulteriormente confermata da dati obiettivi di cui danno analiticamente atto i giudici di merito (l’essere la rete di recinzione non fissata alla base ma solo appoggiata; l’essere il barboncino morto; l’avere la persona offesa riportato lesioni certificate da sanitario; l’essere i cani dell’imputata aggressivi).
Ed è appena il caso di sottolineare che è pacifico che “In tema di omessa custodia di animali, al fine di escludere la colpa, consistente nella mancata adozione delle dovute cautele, non è sufficiente che l’animale sia tenuto in un luogo privato e recintato, ma è necessario che tale luogo sia idoneo a evitare che lo stesso possa sottrarsi alla custodia o al controllo. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto immune da censure la sentenza che aveva ò affermato la responsabilità, per il reato di lesioni colpose, dell’imputato che, aprendo il cancello automatico dell’abitazione, non si era avveduto dell’uscita del cane di grossa taglia)” (Sez. 4, n. 13464 del 19/11/2019, dep. 2020, Splendore, Rv. 278920-01; in conformità, v. Sez. 4, n. 47141 del 09/10/2007, Iacovella, Rv. 238351-01 secondo cui “In tema di omessa custodia di animali, al fine di escludere la colpa, consistente nella mancata adozione delle debite cautele nella custodia, non è sufficiente tenere l’animale in un luogo privato e recintato, ma è necessario che tale luogo sia idoneo a prevenirne la fuga. (Nella fattispecie la Corte ha ravvisato la responsabilità dell’imputato che aveva rinchiuso il cane in un cortile da cui l’animale era facilmente scappato per un’apertura nella recinzione, ed aveva provocato un sinistro stradale”).
2. Risultando, dunque, il ricorso inammissibile e non ravvisandosi ai sensi dell’art. 616 c.p.p. assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Costituzionale, sentenza n. 186 del 13 giugno 2000), alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue anche quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, che si stima conforme a diritto ed equa, di tremila Euro; oltre alla refusione delle spese sostenute dalla parte civile, che si liquidano nella somma indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile B.G. in questo giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 (duemilacinquecento), oltre accessori come per legge.