La Corte di Cassazione, sez. II Penale, con la sentenza n. 32257/2020 depositata il 17 novembre 2020, affermando che “l’età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la sua ridotta capacità di resistenza, dovendo essere valutata la ricorrenza di situazioni che denotano la particolare vulnerabilità del soggetto passivo dalla quale l’agente trae consapevolmente vantaggio», ha confermato la condanna agli arresti domiciliari di due soggetti che avevano truffato un anziano – ultra ottantenne – riconoscendone la minorata difesa.

In particolare, la Cassazione osserva che “l’età avanzata ha reso la vittima ingenua e vulnerabile ed ha consentito” ai truffatori “di poterla facilmente ingannare” mediante una storia totalmente inverosimile, alla quale avrebbe potuto credere solo una persona versante in uno stato di particolare vulnerabilità.

La Corte precisa, inoltre, che “il riconoscimento fotografico” di uno dei due truffatori “da parte della vittima non può indurre a valutazioni differenti e far credere che l’anziano non si trovasse in una situazione di minorata difesa, rendendo al contrario evidente una malcelata capacità reattiva, dal momento che, come evidenziato dal Tribunale, il riconoscimento in parola è derivato dal semplice fatto che l’anziano incontrava il truffatore nel cortile e si interfacciava con lui consegnandogli il denaro e ricevendo la busta, per cui aveva (avuto) tutto il tempo di guardarne le caratteristiche somatiche e di abbigliamento. Egli poi le ha riferite alla polizia giudiziaria e lo ha riconosciuto, non già a distanza di giorni, ma poche ore dopo rispetto ai fatti”.


 

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 ottobre – 17 novembre 2020, n. 32257
Presidente Gallo – Relatore Pellegrino

RITENUTO IN FATTO

  1. Con ordinanza in data 09/07/2020, il Tribunale di Salerno, in funzione di giudice del riesame, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera Inferiore che in data 14/05/2020 aveva respinto la richiesta di applicazione di misura cautelare nei confronti di Ra. Bi. e di An. Ca. per il reato di cui agli artt. 110, 640, comma 1 n. 2 bis cod. pen., disponeva nei confronti dei sunnominati la misura degli arresti domiciliari.
    Secondo l’Accusa, il Bi. ed il Ca., in concorso tra loro, con artifizi e raggiri consistite nel prospettare a Vi. Se., cl. 1933, attraverso una comunicazione telefonica in cui il predetto riteneva di interloquire con il figlio, la necessità di consegnare loro, in cambio della consegna di codici per la riscossione di due assegni dell’importo di 11.000 Euro, la somma di Euro 2.900, inducendo così in errore il Se., procurandosi così l’ingiusto profitto dell’importo suddetto con pari danno per la persona offesa.
    2. Avverso detta ordinanza, nell’interesse di Ra. Bi. e di An. Ca., viene proposto ricorso per cassazione per lamentare, quale motivo unico, inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al riconoscimento della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen.
    Assumono i ricorrenti come il Tribunale non abbia fatto buon uso dei principi ermeneutici chiariti in numerose pronunce di legittimità secondo le quali, con riferimento al reato di truffa, la sola età non può essere posta a fondamento dell’applicazione dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen., al punto che, per motivare le proprie determinazioni, ha fatto riferimento a casi applicativi dell’aggravante relative ad altre fattispecie di reato senza porre in essere quel necessario accertamento in concreto dei presupposti fondanti la sussistenza della stessa. Invero, la configurabilità dell’aggravante della “minorata difesa” non può fondarsi su una valutazione meramente presuntiva, giacché la stessa confliggerebbe apertamente con la necessità di interpretazione conforme a Costituzione delle norme incriminatrici e di quelle che ne aggravano la dimensione sanzionatoria. Nella fattispecie, non si è in presenza di “minorata difesa” bensì di suggestione indotta dall’abilità degli autori della truffa di far cadere in errore con artifizi e raggiri la propria vittima a prescindere dall’età stessa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. I ricorsi sono inammissibili.
    2. Il Collegio conosce e presta adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini della configurabilità dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 5 cod. pen., l’età avanzata della persona offesa non realizza una presunzione assoluta di minorata difesa per la ridotta capacità di resistenza della vittima, dovendo essere valutata la ricorrenza di situazioni che denotano la particolare vulnerabilità del soggetto passivo dalla quale l’agente trae consapevolmente vantaggio (cfr., Sez. 2, n. 47186 del 22/10/2019, PMT c/ Bona, Rv. 277780).
    L’ordinanza impugnata dà atto che la persona offesa, Vi. Se., è nata nel febbraio 1938 per cui, alla data di commissione del reato, ha quasi ottantadue anni, età obiettivamente avanzata. Il Se. “riceve due telefonate in cui uno sconosciuto finge di essere il figlio ed egli non si avvede che l’interlocutore con cui sta parlando al telefono non è il figlio. Egli crede, ingenuamente, di parlare col figlio, del pari egli crede alla “storia” che gli viene narrata, ossia al fatto che un dipendente delle poste si deve recare a casa sua per consegnargli una busta contenente dei codici con i quali possono essere ritirati due assegni e crede, altresì, al fatto che, per poter avere la busta deve consegnare, in contanti, al dipendente delle poste, 2.900,00 Euro”.
    All’evidenza è una storia assolutamente inverosimile rendendo “fin troppo evidente che il Se. … abbia ingenuamente creduto a tutto ciò e si sia lasciato suggestionare dalle telefonate, dall’incontro con l’estraneo, dalla consegna della busta per avere il dubbio, soltanto in un secondo momento, della veridicità di quanto occorso.
    L’età avanzata ha, dunque, reso la vittima ingenua e vulnerabile ed ha consentito di poterla facilmente ingannare …”, avvalorando la sussistenza dell’aggravante de qua. Una conclusione – questa – che, al di là delle intrinseche inverosimiglianze delle circostanze del fatto, trova conferma nei comportamenti successivamente assunti dal figlio della vittima, Pa. Se.. Invero, è solo quest’ultimo che capisce e prende immediata consapevolezza della truffa subita dal padre, che contatta subito i carabinieri e che accompagna il padre in caserma per formalizzare la querela, attività che – da sola – la persona offesa, del tutto verosimilmente, non sarebbe stata capace di assumere. Né il riconoscimento fotografico del Ca. da parte di Vi. Se. può indurre a valutazioni differenti e far credere che la vittima non si trovasse in una situazione di minorata difesa rendendo al contrario evidente una malcelata capacità reattiva, dal momento che, come evidenziato dal Tribunale, il riconoscimento in parola è derivato dal semplice fatto che il Se. incontrava il Ca. “nel cortile e si interfacciava con lui consegnandogli il denaro e ricevendo la busta, per cui aveva (avuto) tutto il tempo di guardarne le caratteristiche somatiche e di abbigliamento. Egli poi le ha riferite alla polizia giudiziaria e lo ha riconosciuto, non già a distanza di giorni, ma poche ore dopo rispetto ai fatti”.
    3. Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro duemila per ciascuno. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.