Non è la prima volta che la Corte di Cassazione penale si trova a dover affrontare il tema di un ombrello, utilizzato come strumento per ledere, riconoscendo a tale oggetto natura di “arma impropria”, con conseguente sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 585 cp.

Con la sentenza n. 22525 (19 ottobre – 19 novembre 2020) la Cassazione sez. V Penale, ha ribadito quanto già affermato nel 2010, dalla medesima sezione, con la sentenza n. 27768, ossia che: “in tema di lesioni personali volontarie, ricorre la circostanza aggravante del fatto commesso con armi quando il soggetto agente utilizzi un manico di scopa ed un ombrello, trattandosi di armi improprie, ai sensi dell’art. 4, comma secondo, legge n. 110 del 1975, per il quale rientra in questa categoria, oltre agli strumenti da punta e taglio e gli altri oggetti specificamente indicati, anche qualsiasi strumento, che, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui sia portato, sia potenzialmente utilizzabile per l’offesa della persona.”.

La Suprema Corte ha altresì richiamato altre sue pronunce (Sez. 5, n. 46482 del 20/06/2014, A, Rv. 261017; Sez. 5, n. 49517 del 21/11/2013, R, Rv. 257758), precisando che: “per arma impropria deve intendersi qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, che sia in concreto utilizzato per procurare lesioni personali, giacché il porto dell’oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma”.

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 ottobre – 19 novembre 2020, n. 22525

Presidente Sabeone – Relatore Romano

Ritenuto in fatto

  1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Messina ha parzialmente riformato la sentenza del 13 novembre 2017 del Tribunale di Messina che ha condannato M.R. per il delitto di lesione personale aggravata a danni di Mi.Fr. e quest’ultimo per il delitto di minaccia ai danni del primo.

In particolare, secondo la ricostruzione del fatto operata dai due giudici del merito, tra i due sarebbe nato un alterco per motivi inerenti alla circolazione stradale, nel corso del quale il Mi. ha minacciato il M. avvalendosi a tal fine di un ombrello, mentre il M. ha utilizzato il proprio ombrello per colpire al volto il Mi. , cagionandogli lesioni personali.

In particolare, la Corte di appello ha ridotto la pena inflitta al M. e ha condannato il Mi. al risarcimento del danno in favore del M. , per il delitto di minaccia commesso ai danni di quest’ultimo, statuizione che era stata omessa dal Tribunale; infine ha compensato le spese tra le due parti private.

  1. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso M.R. , a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 192 e 530 c.p.p., nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, avendo la Corte territoriale affermato che è verosimile che entrambi gli imputati abbiano impugnato i loro ombrelli per scendere dalle rispettive vetture mentre stava piovendo, sebbene nessuno dei testi abbia affermato tale circostanza, negata dallo stesso M. , le cui dichiarazioni, essendosi egli costituito parte civile, hanno il valore di una testimonianza.

In particolare la deposizione del teste C.S. , che ha escluso che il M. impugnasse un ombrello, è stata del tutto trascurata.

Inoltre la Corte di appello ha affermato che il Mi. era stato colpito non solo dalla mano nuda del M. , ma anche con un corpo contundente, mentre tale circostanza non emergeva da alcuna prova, atteso che i numerosi testi, tra i quali vi era anche la moglie del Mi. , non avevano riferito di aver visto il M. colpire più volte il suo antagonista.

In realtà, il M. era stato aggredito dal Mi. che aveva cercato di colpirlo con l’ombrello; il M. aveva utilizzato un braccio per parare il colpo e con l’altro aveva sferrato un pugno al volto del Mi. .

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 52 c.p..

Essendo i fatti avvenuti come sopra descritto, doveva ritenersi applicabile la scriminante della legittima difesa, mentre la Corte di appello ha affermato che questa non operava, non essendo la reazione del M. assolutamente necessaria ed indispensabile per difendersi dall’azione minacciosa del Mi. .

In realtà, tutti i testi hanno confermato la dinamica sopra descritta, cosicché è evidente l’operatività della scriminante, essendo il M. stato costretto a reagire per difendere la propria incolumità personale e sussistendo proporzione tra la offesa e la difesa.

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 585 c.p. e la mancanza di motivazione in ordine al motivo di appello con il quale è stata chiesta l’esclusione dell’aggravante dell’arma.

Non solo non è dimostrato che il M. impugnasse un ombrello, ma quest’oggetto neppure può essere considerato quale oggetto idoneo ad offendere il cui porto sia vietato dalla legge.

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 62 c.p., n. 2, e vizio di motivazione, per non avere la Corte di appello applicato l’attenuante della provocazione. Il M. , secondo la Corte territoriale, aveva colpito il Mi. perché questo l’aveva minacciato tentando di colpirlo con il proprio ombrello.

2.5. Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 541 c.p.p.. In appello il M. era risultato integralmente vittorioso, essendo stata ridotta la pena a lui inflitta ed avendo ottenuto la condanna del Mi. al risarcimento del danno in suo favore e la revoca della provvisoria esecutività della propria condanna al risarcimento del danno in favore del Mi. , mentre quest’ultimo aveva visto rigettare integralmente il proprio gravame.

Non ricorrevano, quindi, quei “giusti motivi” che la Corte aveva addotto per giustificare la compensazione tra le parti delle spese processuali; al massimo la Corte di appello avrebbe potuto disporre la compensazione parziale e non integrale delle spese processuali.

 

Considerato in diritto

  1. Il ricorso è inammissibile.
  2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

2.1. Deve innanzitutto osservarsi, in linea generale, che, poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M, Rv. 274191).

Identiche considerazioni valgono in relazione alla violazione dell’art. 530 c.p.p..

La regola di giudizio compendiata nella formula “al di là di ogni ragionevole dubbio” rileva in sede di legittimità esclusivamente ove la sua violazione si traduca nella illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, D’Urso, Rv. 270108).

2.2. Quanto alla lamentata illogicità o contraddittorietà della sentenza, il motivo di ricorso è inammissibile laddove si lamenta che il Tribunale, prima, e la Corte di appello, poi, abbiano trascurato la deposizione di C.S. , che avrebbe carattere decisivo al fine di escludere che l’odierno ricorrente impugnasse un ombrello.

Il ricorrente lamenta, in sostanza, il travisamento per omissione di detta prova.

Deve, allora, osservarsi, in tema di ricorso per cassazione, che sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, Schioppo, Rv. 270071).

In particolare, in forza della regola della autosufficienza del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova dichiarativa ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto (Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, Bregamotti, Rv. 265053; Sez. F, n. 32362 del 19/08/2010, Scuto, Rv. 248141; Sez. 1, n. 6112 del 22/01/2009, Bouyahia, Rv. 243225; Sez. 4, n. 37982 del 26/06/2008, Buzi, Rv. 241023).

La condizione della specifica indicazione degli “altri atti del processo”, con riferimento ai quali, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), configura il vizio di motivazione denunciabile in sede di legittimità, può essere soddisfatta nei modi più diversi (quali, ad esempio, l’integrale riproduzione dell’atto nel testo del ricorso, l’allegazione in copia, l’individuazione precisa dell’atto nel fascicolo processuale di merito), purché detti modi siano comunque tali da non costringere la Corte di cassazione ad una lettura totale degli atti, dandosi luogo altrimenti ad una causa di inammissibilità del ricorso, in base al combinato disposto dell’art. 581 c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 591 c.p.p. (Sez. 3, n. 43322 del 02/07/2014, Sisti, Rv. 260994; Sez. 1, n. 23308 del 18/11/2014, dep. 2015, Savasta, Rv. 263601).

Nel caso di specie il ricorrente, pur lamentando il travisamento della deposizione del teste C. , ha omesso di adempiere all’onere sopra indicato, non avendo allegato il verbale integrale della deposizione del teste, ma solo una pagina del verbale, o indicato la posizione dell’atto nel fascicolo processuale di merito.

2.3. Il motivo è poi inammissibile anche laddove il ricorrente sostiene che la motivazione sarebbe illogica e contraddittoria in quanto contrastante con le altre prove assunte, atteso che in tale parti il motivo mira ad ottenere una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita in questa sede di legittimità.

  1. Dalla inammissibilità del primo motivo di ricorso discende la inammissibilità del secondo, che poggia su una ricostruzione del fatto diversa da quella operata dai due giudici del merito.

In tema di giudizio di cassazione, sono precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito. (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).

  1. Anche il terzo motivo di ricorso risulta inammissibile.

Quanto alla mancanza di prova che il M. impugnasse l’ombrello, vale quanto si è già sopra esposto.

Quanto all’impossibilità di considerare un ombrello quale “arma” ai sensi dell’art. 585 c.p, comma 2, il motivo è manifestamente infondato.

In tema di lesioni personali volontarie, ricorre la circostanza aggravante del fatto commesso con armi quando il soggetto agente utilizzi un manico di scopa ed un ombrello, trattandosi di armi improprie, ai sensi della L. n. 110 del 1975, art. 4, comma 2, per il quale rientra in questa categoria, oltre agli strumenti da punta e taglio e gli altri oggetti specificamente indicati, anche qualsiasi strumento, che, nelle circostanze di tempo e di luogo in cui sia portato, sia potenzialmente utilizzabile per l’offesa della persona (Sez. 5, n. 27768 del 15/04/2010, Casco, Rv. 247888).

In particolare, per arma impropria deve intendersi qualsiasi oggetto, anche di uso comune e privo di apparente idoneità all’offesa, che sia in concreto utilizzato per procurare lesioni personali, giacché il porto dell’oggetto cessa di essere giustificato nel momento in cui viene meno il collegamento immediato con la sua funzione per essere utilizzato come arma (Sez. 5, n. 46482 del 20/06/2014, A, Rv. 261017; Sez. 5, n. 49517 del 21/11/2013, R, Rv. 257758).

  1. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta per la prima volta la violazione dell’art. 62 c.p., n. 2, cosicché, trattandosi di motivo nuovo, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 3, anch’esso non sfugge alla sanzione dell’inammissibilità.
  2. Anche l’ultimo motivo del ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorso del M. era innanzitutto volto ad ottenere la propria assoluzione e quindi l’annullamento della propria condanna al risarcimento del danno in favore del Mi. e, in ordine a tale capo, l’odierno ricorrente è risultato soccombente nei confronti del Mi. .

Quest’ultimo, tuttavia, è risultato soccombente laddove in secondo grado ha visto rigettare la sua impugnazione ed accogliere la domanda del M. che chiedeva la sua condanna al risarcimento del danno in proprio favore.

Sostanzialmente, il Mi. ed il M. sono reciprocamente soccombenti, cosicché risulta ampiamente giustificata la scelta della Corte di appello di compensare le spese processuali.

  1. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00.

Ai sensi dell’art. 541 c.p.p., il ricorrente, risultato soccombente, deve pure essere condannato alla rifusione in favore di Mi.Fr. delle spese processuali, che si liquidano in Euro 3000,00, oltre accessori di legge.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore della parte civile Mi.Fr. che liquida in complessivi Euro 3000,00 oltre accessori di legge.