L’art. 727 cp (abbandono di animali) così recita: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”.

Con sentenza 32157, depositata ieri 16 Novembre 2020 (in calce), la III Sezione penale della Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza il ricorso proposto da una donna,  già condannata per l’indicata contravvenzione, avendo ella detenuto i propri gatti in uno stato di sporcizia, foriero di sofferenze per gli animali.

A nulla rileva la circostanza che, prima di andare in ferie, l’imputata avesse incaricato i propri figli minori di curare i felini: trattasi, secondo il supremo Consesso decidente,  di  “soggetti prevedibilmente inadeguati al compito loro assegnato, sia per l’età che per la durata dello stesso”.

Quanto alla condotta, la Cassazione ravvisa la colpa della ricorrente e ribadisce che il reato in esame è integrato dall’abbandono degli animali in  “precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione”.

Al rigetto consegue la condanna alle spese ed al pagamento di € 3.000,00= Euro in favore della Cassa delle ammende.


Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 ottobre – 16 novembre 2020, n. 32157
Presidente Di Nicola – Relatore Di Stasi

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 20/01/2020, il Tribunale di Ivrea dichiarava La. Cl. responsabile del reato di cui agli artt. 110, 727 cod.pen – perché deteneva tre gatti in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze e, in particolare, in una situazione di scarsa igiene con presenza di urine e feci sparse su giornali distribuiti sul pavimento, con lettiera satura di feci e di urina, nonché con ciotola dell’acqua dell’abbeverata stagnante e sporca – e la condannava alla pena di Euro 1.500,00 di ammenda nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione La. Cl., a mezzo del difensore di fiducia, articolando un unico motivo, con il quale deduce violazione dell’art. 727 cod.pen. e correlato vizio di motivazione.
Espone che la ricorrente, prima di partire per le ferie estive, aveva delegato il compito di accudire i propri animali domestici ad una conoscente che, però, aveva successivamente negato il suo supporto, tanto che era stata costretta ad incaricare i propri figli della cura degli animali; argomenta che per comune esperienza un gatto domestico può resistere senza subire le conseguenze di un abbandono per alcuni giorni e che la situazione di sporcizia presente nell’appartamento era dovuta ad un furto subito ed alle condizioni di caldo e umido tipiche della stagione estiva. Difettavano, quindi, sia l’elemento oggettivo che l’elemento soggettivo del reato contestato.
Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza del motivo proposto.
2. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la detenzione impropria di animali, produttiva di gravi sofferenze, va considerata, per le specie più note (quali, ad esempio, gli animali domestici), attingendo al patrimonio di comune esperienza e conoscenza e, per le altre, alle acquisizioni delle scienze naturali (Sez. 3, n. 37859 del 4/6/2014, Rainoldi e altro, Rv. 260184; Sez. 3, n. 6829 del 17/12/2014 (dep. 2015), Garnero, Rv. 262529).
Le gravi sofferenze non vanno necessariamente intese come quelle condizioni che possono determinare un vero e proprio processo patologico, bensì anche i meri patimenti (Sez.3, n.14734 del 08/02/2019, Rv. 275391 – 01; Sez. 3 n. 175 del 13/11/2007 (dep. 2008), Mollaian, Rv. 238602).
Assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione (Sez. 7, n. 46560 del 10/7/2015, Francescangeli e altro, Rv. 265267).
E’ stato, quindi, ritenuto integrato il reato in esame anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce (Sez. 6, n. 17677 del 22/3/2016, 4 Borghesi, Rv. 267313), o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione (Sez.3, n.49298 del 22/11/2012, Rv.253882 – 01).
Ed è stato precisato che la grave sofferenza dell’animale, elemento oggettivo della fattispecie di cui all’art. 727 cod.pen., deve essere desunta dalle modalità della custodia che devono essere inconciliabili con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere (Sez.3,n.52031 del 04/10/2016, Rv.268778 – 01).
2.1. Nel caso di specie, il Tribunale ha posto in evidenza come, in sede di sopralluogo effettuato dai Carabinieri e da guardia zoofila, venivano rinvenuti nell’appartamento della ricorrente, i cui mobili e divani erano ricoperti di escrementi ammuffiti e di urine, tre gatti affamati, rinchiusi in una stanza; uno dei gatti presentava un’escrescenza su muso che, a seguito di visita veterinaria, si rilevava essere un tumore molto esteso (che partiva dal cranio ed arrivava sino alla bocca); il gatto in questione, in stato di denutrizione, veniva sottoposto a due interventi chirurgici e, poi, aggravatosi in maniera irreversibile, veniva soppresso.
Rileva il Collegio che la detenzione in tali condizioni dei gatti domestici della ricorrente, costretti in un luogo ristretto e malsano per lungo periodo e senza adeguate cure, deve ritenersi certamente incompatibile con la loro natura e produttiva di gravi sofferenze per gli stessi; gravi sofferenze ancora più evidenti per uno dei gatti che era affetto da una grave patologia e, quindi, bisognevole anche di adeguate cure veterinarie.
2.2. Né esclude la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, la circostanza che l’imputata avesse affidato a terzi la cura dei gatti.
Come evidenziato dal Tribunale, tale comportamento si configura come colposo, in quanto l’imputata, rimanendo lontana dalla propria abitazione per un lungo periodo di ferie, aveva delegato la cura dei gatti ai propri figli minori (che vivevano con il padre presso i nonni e che si recavano presso l’abitazione della madre a giorni alterni), soggetti prevedibilmente inadeguati al compito loro assegnato, sia per l’età che per la durata dello stesso.
Il Tribunale ha evidenziato anche la condotta diligente esigibile, rimarcando che l’imputata, a fronte del lungo periodo di assenza e della impossibilità di avvalersi di un sostituto adeguato per la cura dei propri animali domestici, avrebbe dovuto affidare i gatti ad una struttura, pubblica o privata, di custodia e cura.
La motivazione del Tribunale è, quindi, adeguata e logica ed in linea con i principi di diritto suesposti e si sottrae al sindacato di legittimità
La ricorrente, peraltro, si limita sostanzialmente a proporre una lettura alternativa del materiale probatorio posto a fondamento della affermazione di responsabilità penale, dilungandosi in considerazioni in punto di fatto, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non essendo demandato alla Corte di cassazione un riesame critico delle risultanze istruttorie.
3. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.