E’ stata depositata ieri 12 ottobre 2020 la sentenza n. 28304 depositata ieri  (in calce), resa dalla sez. IV della Corte di Cassazione Penale.

Nella vicenda in esame, l’imputato – coinvolto in un sinistro stradale – aveva prestato aiuto alla vittima, ma poi non si era fermato sul posto, ove tornava a distanza di tempo, asserendo di aver cercato l’aiuto di un suo amico, residente in zona.

Per tale motivo egli era stato ritenuto colpevole del reato di cui all’art 189 c. 6 del Codice della Strada ( “Chiunque, nelle condizioni di cui comma 1, in caso di incidente con danno alle persone, non ottempera all’obbligo di fermarsi, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. Si applica la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a tre anni, ai sensi del capo II, sezione II, del titolo VI. Nei casi di cui al presente comma sono applicabili le misure previste dagli articoli 281, 282, 283 e 284 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti previsti dall’articolo 280 del medesimo codice, ed è possibile procedere all’arresto, ai sensi dell’articolo 381 del codice di procedura penale, anche al di fuori dei limiti di pena ivi previsti.”

La Cassazione reputa corretta la sentenza della Corte d’appello, che aveva ritenuto di non poter dichiarare non punibile il reato per particolare tenuità del fatto, evidenziando che i presupposti necessari per la concessione di detto beneficio (di cui all’art. 131 bis c.p.) non concernono la condotta susseguente al reato.

Per tali motivi, il ricorso viene rigettato, con conferma dell’impugnato provvedimento.


Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 settembre – 12 ottobre 2020, n. 28304
Presidente Piccialli – Relatore Nardin

Fatto e Diritto

1. Con sentenza del 21 marzo 2019 la Corte di Appello di Venezia ha parzialmente riformato la sentenza del tribunale di Vicenza, assolvendo Gi. Ma. dal reato di cui all’art. 189, comma 7 C.d.S. [capo b) dell’imputazione] per non avere commesso il fatto, dichiarando l’estinzione per prescrizione del reato di cui all’art. 186, comma 2, lett. c) C.d.S., e confermando la responsabilità del medesimo per il reato di cui all’art. 189, comma 6 C.d.S., per avere provocato un sinistro stradale, allontanandosi dal luogo dell’incidente, senza ottemperare all’obbligo di fermarsi e fornire le proprie generalità.
5. Avverso la sentenza propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, affidandolo a due motivi, strettamente connessi, con i quali si duole della violazione dell’art. 125 cod. proc. pen. e dell’omessa motivazione in ordine al motivo di appello, specificamente proposto, inerente alla richiesta di proscioglimento per tenuità del fatto, ex art. 131 bis cod. pen.. Rileva che la Corte territoriale non ha neppure affrontato la doglianza introdotta con l’atto di gravame, limitandosi ad affermare che il reato è integrato anche in ipotesi di sosta momentanea, senza, tuttavia, affrontare la questione della lievità del fatto, e senza tenere in considerazione l’assoluta modestia delle lesioni riportate dalla persona offesa. Conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.
6. Al fine di dare risposta al quesito posto con il ricorso, va osservato che la Corte territoriale pur non affrontando in modo diretto la questione dell’applicabilità dell’art. 131 bis cod. pen. al caso di specie, nondimeno, ha chiarito, con le argomentazioni complessivamente svolte nel corpo della motivazione, l’insussistenza delle condizioni di applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto. La Corte, infatti, ricordato che l’imputato, dopo avere soccorso la persona offesa, aiutandola a sedersi sul ciglio della strada, ed averla affidata al teste Br., si è allontanato dai luoghi, per poi tornarvi dopo un certo lasso di tempo, giustificando il suo comportamento con la volontà di cercare aiuto da un conoscente che abitava li vicino. E tuttavia ha ritenuto di non poter valorizzare la circostanza del ritorno dell’imputato, perché egli aveva la possibilità di cercare aiuto con il telefono cellulare di cui Br. era fornito.
Il giudice di appello, dunque, ha escluso che il ripensamento possa costituire elemento valutabile ai i fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, sulla base del principio già affermato da questa Corte, secondo cui “non rileva il comportamento tenuto dall’agente post delictum, atteso che la norma di cui all’art. 131-bis cod. pen. correla l’esiguità del disvalore ad una valutazione congiunta delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile, dell’entità del danno o del pericolo, da apprezzare in relazione ai soli profili di cui all’art. 133, comma primo, cod. pen., e non invece con riguardo a quelli, indicativi di capacità a delinquere, di cui al secondo comma, includenti la condotta susseguente al reato. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione del giudice di merito che aveva riconosciuto la causa di non punibilità valorizzando la circostanza che l’imputato avesse accompagnato la moglie al pronto soccorso, dopo averla picchiata, procurandole la frattura di zigomo e mascella). (Sez. 5, n. 660 del 02/12/2019 – dep. 10/01/2020, P, Rv. 278555).
L’assenza dei presupposti per l’applicabilità della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, invero, può, secondo questa Corte essere rilevata anche con motivazione implicita (cfr. Sez. 5, n. 24780 del 08/03/2017, Tempera, Rv. 270033, relativa a fattispecie nella quale la Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso relativo all’assenza di motivazione in ordine alla causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., ravvisando nel passaggio della motivazione della sentenza della corte di appello relativo alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art, 61, n. 1, cod. pen., che l’appellante chiedeva di escludere, un’implicita esclusione della particolare tenuità del fatto; ed anche Sez. 3, n. 48317 del 11/10/2016 – dep. 16/11/2016, Scopazzo, Rv. 268499).
7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.