Questi i fatti: un imputato praticava il c.d. “giuoco delle tre campanelle”, mentre gli altri due simulavano di aver vinto, così inducendo soggetti terzi a “puntare” somme di denaro, nell’illusoria prospettiva di riportare un facile guadagno.
Alla base del ricorso v’è la ritenuta violazione di legge, motivata dalla circostanza che la norma di cui sopra pone il divieto di organizzazione, esercizio e raccolta di scommesse m a solo su giochi istituiti o regolamentati dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli, in assenza della prescritta autorizzazione governativa.
Poiché il gioco c.d. delle “tre campanelle” non viene annoverato nell’elenco di quelli soggetti al controllo dell’Agenzia dei Monopoli, le scommesse su di esso vertenti sarebbero estranee al reato in esame.
La Corte reputa fondate le doglianze dei ricorrenti, evidenziando che la ratio della norma risiede nell’esigenza di “reprimere non la occasionale e sporadica attività di scommessa su giuochi di abilità, ma la non occasionale organizzazione di essa” e specificando che essa richiede “una struttura costituita da mezzi e persone”, non ravvisabile nel semplice uso di un banchetto con la collaborazione di due collaboratori.
Nella fattispecie in esame è stata altresì esclusa l’ipotesi contravvenzionale di cui all’art. 718 cod. pen. (ravvisabile ove la vincita dipenda più dall’alea, che dalle capacità dei giocatori) e quella della truffa (in assenza di artifici o raggiri).
Pertanto, a giudizio della Cassazione, la detta condotta rientra “nell’ambito dell’indifferente giuridico”, con conseguente annullamento dell’impugnata sentenza “perché il fatto non sussiste”.
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 2 – 21 settembre 2020, n. 26231
Presidente Bricchetti – Relatore Gentili
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Bologna, con sentenza del 9 aprile 2019, emessa a seguito della opposizione a decreto penale presentata dagli imputati, ha dichiarato la penale responsabilità di Al. Gh., Al. Ni. e di Do. Fi. Co. in ordine al reato di cui all’art. 4, comma 1, della legge n. 401 del 1989, per avere costoro, in concorso fra loro, fecondo l’accusa, esercitato, in assenza della prescritta autorizzazione, ed organizzato attività pubblica di scommessa su giochi di abilità, e li ha, pertanto, condannati, concesse le circostanze attenuanti generiche solo ai due Alarrjaru, rispettivamente alla pena di Euro 300,00 di ammenda i primi due ed a quella di Euro 450,00 di ammenda il terzo.
Hanno interposto un congiunto ricorso per cassazione i tre imputati, lamentando, sotto il profilo della violazione di legge, nella specie la stessa norma precettiva che si assume da costoro infranta, la illegittimità della sentenza impugnata. I tre ricorrenti hanno rilevato che la disposizione che si assume essere stata dai medesimi violata, vieta, a chiunque non sia titolare della apposita concessione governativa, di organizzare, esercitare e raccogliere scommesse su qualsiasi gioco istituito o disciplinato dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli.
Nel caso di specie i tre partecipavano alla realizzazione di scommesse sul giuoco denominato “tre campanelle”, che, non rientrando fra quelli organizzati e disciplinati dalla Agenzia dei Monopoli, sarebbe estraneo, secondo la loro prospettazione, alla fattispecie contravvenzionale contestata ai tre imputati.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato e, pertanto, lo stesso deve essere accolto.
Osserva, infatti, il Collegio che la disposizione che, ad avviso del giudice di primo grado, i tre prevenuti avrebbero violato, si tratta dell’art. 4, comma 1, della legge n. 401 del 1989, sanziona penalmente, per quanto ora interessa, la condotta di chi abusivamente esercita l’organizzazione di pubbliche scommesse su altre competizioni di persone o animali e giuochi di abilità.
Appare evidente che, rispetto a siffatta fattispecie penale sia del tutto esulante la condotta attribuita ai tre imputati, i quali, al di fuori di qualsiasi attività organizzata, tenevano, all’interno dell’autodromo “Dino Ferrari” di Imola, un banchetto ove uno dei tre esercitava il cosiddetto “giuoco delle tre campanelle” e gli altri due, facendo mostra di riportare delle vincite in detto giuoco, inducevano altri soggetti, allettati dalla possibilità di conseguire un facile guadagno, a giuocare al loro volta.
Rileva il Collegio che in un tale comportamento non sono assolutamente ravvisabili gli estremi del reato contestato al tre prevenuti, non foss’altro in quanto lo stesso mira a reprimere non la occasionale e sporadica attività di scommessa su giuochi di abilità, ma la non occasionale organizzazione di essa; per essere tale detta organizzazione presuppone l’esistenza di una struttura costituita da mezzi e persone che, seppure non deve essere stabile e caratterizzata da una sua particolare complessità, non può, tuttavia, neppure essere ridotta alla mera disponibilità di un banchetto amovibile ed alla presenza e collaborazione di due “compari”.
Al riguardo si osserva come, nelle non isolate occasioni in cui questa Corte ha trattato il tema della rilevanza penale del “giuoco delle tre campanelle” (ovvero “delle tre carte” o come altrimenti esso viene definito in funzione del corredo strumentale a disposizione del soggetto che lo esercita), essa mai ha ritenuto che lo stesso abbia potuto integrare il reato contestato ai tre odierni ricorrenti, avendo osservato come lo stesso possa, ricorrendone le condizioni, integrare gli estremi della contravvenzione prevista e punita dall’art. 718 cod. pen., ma solo in quanto la possibilità per chi vi partecipi di vincere o di perdere, premessa la natura patrimoniale della “posta” messa in giuoco, sia, in maniera ampiamente preponderante se non esclusiva, dipendente dalla sorte e non dalle capacità dei giocatori (Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 dicembre 2000, n. 12431).
Circostanza questa, cioè la preponderante aleatorietà dell’esito del giuoco, che, proprio con riferimento al giuoco in questione, è stata esclusa ogni qual volta sia risultato che, invece, la vincita o la perdita nel giuoco sia derivata dalla maggiore o minore abilità di chi ad esso, nel ruolo di gestore o di scommettitore, vi abbia preso parte (Corte di cassazione, Sezioni unite penali, 24 luglio 1991, n. 14).
In altre circostanze si è rilevato che la condotta in questione, in assenza di una qualche ulteriore attività volta, attraverso l’artifizio od il raggiro, alla induzione in errore del soggetto passivo del reato, neppure è sussumibile sotto la specie della truffa, essendo stato altresì precisato che non è condotta efficace a costituire in tal senso artifizio o raggiro quella volta a sollecitare nell’ignaro scommettitore la volontà di giuocare, attraverso la prospettazione di un facile guadagno dovuto alla sua abilità (Corte di cassazione Sezione II penale, 27 novembre 2019, n. 48159).
Considerato, pertanto, che la condotta attribuita ai tre prevenuti, per come descritta nel capo di imputazione e nella sentenza impugnata, appare essere scevra sia dalla esistenza di artifici o raggiri in danno dei possibili scommettitori sia da fattori di preponderante aleatorietà dell’esito della scommessa, risulta che la stessa non solo non sia sussumibile nello schema normativo della disposizione che si assume essere stata dai medesimi violata, ma, fatti salvi gli eventuali effetti dell’art. 2034 cod. civ., deve concludersi che la stessa, neppure integrando gli estremi di altro reato, rientri nell’ambito dell’indifferente giuridico.
A tanto consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, data la insussistenza come reato del fatto ai tre imputati contestato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.