Un uomo veniva processato, in relazione all’art. 73 c. 5 DPR 309/1990, per aver ceduto a terzi 0,3 grammi lordi di cocaina, pari a 0,124 grammi netti.

Sia in primo, che in secondo grado, l’imputato veniva condannato alla pena ritenuta congrua.

Avverso  la sentenza di secondo grado, l’imputato proponeva ricorso in cassazione, articolando plurimi motivi.

Con sentenza 25045/2020, depositata il 4/9/2020, la Suprema Corte disattende tutte le lagnanze del ricorrente, ad eccezione di quella relativa alla “contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 131-bis cod. pen.”.

Quest’ultima norma consente infatti al Giudice di dichiarare la non punibilità del fatto costituente reato, in presenza di determinati presupposti, tra i quali – in primis – la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.

In particolare, con la sentenza in esame non viene condivisa la motivazione addotta sul punto dai Giudici di appello che – nonostante il «modestissimo quantitativo di sostanza ceduta» – avevano negato l’applicabilità dell’invocato istituto, laconicamente richiamando la non occasionalità dello spaccio, in considerazione del sequestro di circa € 500, operato ai danni dell’imputato, nonostante il suo stato di disoccupazione.

Tale “modus opinandi” non è condiviso dalla Cassazione, la quale evidenzia che proprio la sentenza impugnata dà atto di un unico episodio di spaccio al quale gli operanti avevano assistito.

Peraltro, la non abitualità dello spaccio non può neppure desumersi dalla mera circostanza relativa all’importo di denaro sequestrato, in assenza di ulteriori elementi – nell’impugnato provvedimento – che potessero farla ritenere.

Il ravvisato grave vulnus motivazionale della sentenza d’appello ne ha così comportato l’annullamento limitatamente all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., con contesuale disposizione di un nuovo processo in merito.

 


 

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 luglio – 4 settembre 2020, n. 25045
Presidente Di Nicola – Relatore Mengoni

Ritenuto in fatto

  1. Con sentenza del 17/1/2019, la Corte di appello di Firenze confermava la pronuncia emessa il 14/7/2015 dal locale Tribunale, con la quale Mo. Dr. era stato giudicato colpevole del delitto di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e condannato alla pena di otto mesi di reclusione e mille Euro di multa; allo stesso era contestato di aver ceduto 0,3 grammi di cocaina in corrispettivo di 30 Euro.
    2. Propone ricorso per cassazione il Dr., a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi:
    – erronea applicazione dell’art. 530 cod. proc. pen.; contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna pur a fronte della cessione di soli 0,30 grammi lordi di cocaina, pari a 0,124 grammi netti, inferiori ad una dose media singola; quel che avrebbe imposto la verifica della reale efficacia drogante della sostanza, come sostenuto da ampia giurisprudenza di questa Corte che il ricorso richiama;
    – contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art. 131-bis cod. pen. La sentenza avrebbe negato la causa di esclusione della punibilità con argomento carente e, peraltro, con le stesse considerazioni impiegate per escludere l’inoffensività del fatto;
    – la stessa censura, di seguito, è sollevata con riguardo alla recidiva ed al bilanciamento delle circostanze. La Corte di appello avrebbe steso una motivazione viziata quanto al riconoscimento della recidiva, in assenza di una valutazione della pericolosità sociale del ricorrente, ed al bilanciamento tra questa e le circostanze attenuanti generiche, invocato nel senso della prevalenza di queste ultime sull’aggravante soggettiva;
    – violazione degli artt. 111 Cost., 132 e 133 cod. pen., vizio di motivazione con riguardo al trattamento sanzionatorio, il cui potere discrezionale non sarebbe stato sostenuto da adeguato argomento.

Considerato in diritto

  1. Il ricorso risulta fondato limitatamente alla causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
    4. In ordine al primo motivo, in punto di offensività della condotta, osserva il Collegio che il Dr. è stato condannato per aver ceduto a Fr. De Lu. una dose di cocaina, pari a 0,3 grammi, dietro un corrispettivo di 30 Euro: condotta che neppure il ricorso contesta. Tanto premesso, non può condividersi l’assunto difensivo secondo il quale difetterebbe la prova della lesione del bene protetto, non essendo stato eseguito alcun accertamento sull’efficacia drogante della sostanza; ed invero, l’imputato, per un verso, ha optato per il rito abbreviato, così accettando di esser giudicato sulla base di atti di indagine che descrivevano la cessione della cocaina nei termini suddetti; per altro verso, non ha introdotto – né ha subordinato la richiesta del rito a tale acquisizione – alcun elemento che consentisse anche solo di dubitare dell’effettiva natura della sostanza ceduta e della reale presenza di un principio attivo.
    In senso contrario, peraltro, non può valere il richiamo a numerose sentenze di questa Corte in tema di coltivazione di piante. Premesso che il Supremo Collegio, con pronuncia del 19/12/2019, ha infine statuito che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; tanto premesso, il riferimento alla giurisprudenza di legittimità appare del tutto inconferente al caso in esame, che concerne non la coltivazione di piante stupefacenti, ma la cessione di cocaina.
    5. Alle stesse conclusioni, di seguito, perviene il Collegio in punto di circostanze attenuanti generiche e di recidiva.
    Quanto a quest’ultima, non appare sussistere il lamentato vizio motivazionale, atteso che la sentenza ha confermato l’aggravante soggettiva con richiamo alla personalità del soggetto, “identificato con una serie lunghissima di alias e stabilmente dedito ad attività criminosa (in assenza di lecite fonti di reddito)”; e con la precisazione che il reato in rubrica era stato commesso in un periodo in cui il ricorrente era sottoposto ad obblighi, ad evidenza ulteriore della sua pericolosità sociale.
    In ordine, poi, alla richiesta prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla recidiva, questa è stata adeguatamente negata in ragione dei medesimi, gravi elementi appena richiamati, che il ricorso non contesta affatto, né assume aver inteso superare in sede di merito con argomenti non valutati dalla Corte.
    6. Fondato, per contro, risulta infine il ricorso quanto alla causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
    La Corte di appello, sollecitata in tal senso da un preciso motivo di gravame (che evidenziava il modestissimo quantitativo di sostanza ceduta, pari a 0,3 grammi lordi, pari a 0,124 grammi netti), si è espressa in termini contrari alla luce del “contesto non occasionale” di spaccio nel quale la vicenda si inserirebbe, come dimostrato dal sequestro di 510 Euro contanti, nella disponibilità del ricorrente pur privo di lecita occupazione. Ebbene, questa Corte ritiene viziato un simile argomento, dovendosi al riguardo sottolineare che: a) come riportato nella sentenza impugnata, l’unico episodio di spaccio al quale gli operanti avevano assistito è quello poi contestato; b) nessun passo della pronuncia in esame (né di quella – estremamente sintetica – di primo grado) individua elementi a sostegno del “contesto non occasionale” sopra menzionato, non potendosi dunque comprendere ove il Giudice di appello abbia ricavato questo dato; c) difettando ogni supporto motivazionale a quanto appena riportato, il riferimento alla somma in sequestro risulta insufficiente per legittimare la conclusione alla quale la decisione è pervenuta.
    Si impone, dunque, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla applicabilità della causa di non punibilità in oggetto.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicabilità della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.