Ha suscitato una vasta eco mediatica la sentenza 516/2020, depositata il 29/7/2020 dal Giudice di pace di Frosinone (qui di seguito riportata), che ha annullato la sanzione comminata per violazione del divieto di spostarsi al di fuori della propria abitazione, in conseguenza della nota emergenza sanitaria da COVID-19, ai sensi dei ben noti DPCM.

Alla base della decisione in commento si pone la ritenuta illegittimità non solo della declaratoria di emergenza sanitaria 31.1.2020 resa dal Consiglio dei Ministri (per violazione degli artt. 95 e 78 Cost.)perché emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto nessuna fonte costituzionale o avente forza di legge ordinaria attribuisce il potere al Consiglio dei Ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario”, ma anche  dei noti DPCM limitativi della libertà di circolazione (per violazione dell’art. 13 Cost.) “perché, nell’ordinamento giuridico italiano, l’ordine di rimanere nella propria abitazione non può essere imposto dal legislatore, ma solo dall’Autorità giudiziaria con atto motivato.”.

Pur trattandosi di provvedimento privo di efficacia vincolante per gli altri Giudici, è innegabile che le sottese argomentazioni potranno sortire un “effetto a catena” in altre, analoghe, vicende giudiziarie.

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Giudice di Pace di Frosinone, sentenza 15 – 29 luglio 2020, n. 516
Avvocato Manganiello

Svolgimento del processo

Con ricorso tempestivamente depositato e successivamente notificato il ricorrente si opponeva all’atto di cui all’oggetto, con il quale ha ricevuto la contestazione della violazione del divieto di spostarsi in conseguenza della emergenza sanitaria ai sensi del DPCM non specificato.
L’Ente opposto non si costituiva e la causa veniva decisa come da separato dispositivo, letto in udienza.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e, pertanto, deve essere accolto.
A) SULLA ILLEGITTIMITA’ DELLA DICHIARAZIONE DELLO STATO DI EMERGENZA PER VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 95 E 78 COST. E DEI CONSEGUENTI DPCM.
Con deliberazione del 31.1.2020 il Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, pubblicata in G.U. Serie generale n. 26 del 1.2.2020, ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale in conseguenza del rischio sanitario derivante da agenti virali trasmissibili “ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c) e dell’articolo 24, comma 1, del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1, è dichiarato per sei mesi dalla data del presente provvedimento, lo stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili; 2) per l’attuazione degli interventi di cui all’articolo 25, comma 2, lettre a) e b) …”. Se si esamina la fattispecie richiamata dalla deliberazione sopra citata si potrà notare che non si rinviene alcun riferimento a situazioni di “rischio sanitario” da, addirittura, “agenti virali”.
Infatti, l’articolo 7, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 1/18 stabilisce che “gli eventi emergenziali di protezione civile si distinguono: … c) emergenze di rilievo nazionale connessi con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo”. Sono le calamità naturali, cioè terremoti; valanghe; alluvioni, incendi ed altri; oppure derivanti dall’attività dell’uomo, cioè sversamenti, attività umane inquinanti ed altri. Ma nulla delle fattispecie di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c), del D.Lgs. n. 1/18 è riconducibile al “rischi sanitario”. A ciò è doveroso aggiungere che i nostri Padri Costituenti hanno previsto nella Costituzione della Repubblica una sola ipotesi di fattispecie attributiva al Governo di poteri normativi peculiari ed è quella prevista e regolata dall’articolo 78 e dall’articolo 87 relativa alla dichiarazione dello stato di guerra. Non vi è nella Costituzione italiana alcun riferimento ad ipotesi di dichiarazione dello stato di emergenza per rischio sanitario e come visto neppure nel D.Lgs. n. 1/18. In conseguenza, la dichiarazione adottata dal Consiglio dei Ministri il 31.1.2020 è illegittima, perché emanata in assenza dei presupposti legislativi, in quanto nessuna fonte costituzionale o avente forza di legge ordinaria attribuisce il potere al Consiglio dei Ministri di dichiarare lo stato di emergenza per rischio sanitario. Pertanto, poiché gli atti amministrativi, compresi quelli di Alta Amministrazione, come lo stato di emergenza sono soggetti al principio di legalità, la delibera del C.d.M. del 31.1.2020 è illegittima perché emessa in assenza dei relativi poteri da parte del C.d.M. in violazione degli 95 e 78 che non prevedono il potere del C.d.M. della Repubblica Italiana di dichiarare lo stato di emergenza sanitaria/Da ciò consegue la illegittimità di tutti gli atti amministrativi conseguenti, come il DPCM invocato dal verbale qui opposto, con conseguente dovere del Giudice di pace, quale Giudice ordinario, di disapplicare la dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria ed il DPCM attuativo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
2. Inoltre, deve ritenersi condivisibile autorevole dottrina costituzionale (S. Cassese) secondo cui la previsione di norme generali e astratte, peraltro limitative di fondamentali diritti costituzionali, mediante Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri sia contraria alla Costituzione. In particolare, non appare meritevole di accoglimento la tesi di chi invoca la legittimità di tali previsioni in virtù del rinvio a tali atti amministrativi, i DPCM, da parte di decreti-legge, che avendo natura di atti aventi forza di legge equiparerebbero alla fonte legislativa i DPCM evitandone in tal guisa la loro nullità e la conseguente disapplicazione da parte del Giudice Ordinario. Ed in effetti, l’ultimo DPCM emanato il 26.4.2020, deriverebbe la sua efficacia dal Decreto-legge n. 19, del 25.3.2020, così come gli atti amministrativi della Regione Lazio. Tale tesi, peraltro, è inapplicabile al DPCM oggetto del caso qui giudicato, essendo antecedente al 26.4.2020. In ogni caso, la funzione legislativa delegata è disciplinata dall’articolo 76 Cost., il quale, nel prevedere “l’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi ” impedisce, anche alla legge di conversione di decreti legge la possibilità di delegare la funzione di porre norme generali astratte ad altri organi diversi dal Governo, inteso nella sua composizione collegiale, e quindi con divieto per il solo Presidente del Consiglio dei Ministri di emanare legittimamente norme equiparate a quelle emanate in atti aventi forza di legge. In conclusione, solo un decreto legislativo, emanato in stretta osservanza di una legge delega, può contenere norme aventi forza di legge, ma giammai un atto amministrativo, come le Ordinanze sindacali o regionali od il DPCM, ancorché emanati sulla base di una delega concessa da un decreto-legge tempestivamente convertito in legge. Da ciò discende la illegittimità delle disposizioni del DPCM del 26.4.2020, in G.U del 27.4.2020, n. 108.
B) SULLA ILLEGITTIMITA’ DEL DPCM PER VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 COST.
In ogni caso, in via assorbente, deve rilevarsi la indiscutibile illegittimità del DPCM del 9.3.2020, invocato dal verbale opposto, ove prevede che “1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19 le misure di cui all’art. 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 sono estese all’intero territorio nazionale”, e del rinviato DPCM del 8.3.2020, ove stabilisce che “Art. 1 Misure urgenti di contenimento del contagio nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso, Venezia.
1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus” COVID-19 nella regione Lombardia e nelle province di Modena, Parma, Piacenza, Reggio nell’Emilia, Rimini, Pesaro e Urbino, Alessandria, Asti, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli, Padova, Treviso e Venezia, sono adottate le seguenti misure:
a) evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e in uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute”.
Tale disposizione, stabilendo un divieto generale ed assoluto di spostamento al di fuori della propria abitazione, con limitate e specifiche eccezioni, configura un vero e proprio obbligo di permanenza domiciliare. Tuttavia, nel nostro ordinamento giuridico penalistico, l’obbligo di permanenza domiciliare è già noto e consiste in una sanzione penale restrittiva della libertà personale che viene irrogata dal Giudice di pace penale per alcuni reati. Sicuramente nella giurisprudenza è indiscusso che l’obbligo di permanenza domiciliare costituisca una misura restrittiva della libertà personale. Peraltro, la Corte Costituzionale ha ritenuto configurante una misura restrittiva della libertà personale ben più lievi dell’obbligo di permanenza domiciliare come ad esempio, il “prelievo ematico” (Sentenza n. 238 del 1996). Anche l’accompagnamento coattivo alla frontiera dello straniero è stata ritenuta misura restrittiva della libertà personale e dichiarazione d’illegittimità costituzionale della disciplina legislativa che non prevedeva il controllo del Giudice ordinario sulla misura poi introdotto dal legislatore in esecuzione della decisione della Corte costituzionale: infatti, l’art. 13 Cost., stabilisce che le misure restrittive della personale possono essere adottate solo su motivato atto dell’autorità giudiziaria. Pertanto, neppure una legge potrebbe prevedere nel nostro ordinamento l’obbligo della permanenza domiciliare, direttamente irrogato a tutti i cittadini dal legislatore, anziché dall’autorità giudiziaria con atto motivato, senza violare il ricordato art. 13 Cost. Peraltro, nella fattispecie, poiché trattasi di DPCM, cioè di un atto amministrativo, questo Giudice non deve rimettere la questione di legittimità costituzionale alla Corte costituzionale, ma deve procedere alla disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo per violazione di legge. Infine, non può neppure condividersi l’estremo tentativo dei sostenitori, ad ogni costo, della conformità a costituzione dell’obbligo di permanenza domiciliare sulla base della considerazione che il DPCM sarebbe conforme a Costituzione, in quanto prevederebbe delle legittime limitazioni della libertà di circolazione ex art. 16 Cost. e non della libertà personale. Infatti, come ha chiarito la Corte Costituzionale la libertà di circolazione riguarda i limiti di accesso a determinati luoghi, come ad esempio, l’affermato divieto di accedere ad alcune zone, circoscritte che sarebbero infette, ma giammai può comportare un obbligo di permanenza domiciliare (Corte Cost., n. 68 del 1964). In sostanza la libertà di circolazione non può essere confusa con la libertà personale: i limiti della libertà di circolazione attengono a luoghi specifici il cui accesso può essere precluso, perché ad esempio pericolosi; quando invece il divieto di spostamento non riguarda i luoghi, ma le persone allora la limitazione si configura come limitazione della libertà personale. Certamente quando il divieto di spostamento è assoluto, come nella specie, in cui si prevede che il cittadino non può recarsi in nessun luogo al di fuori della propria abitazione è indiscutibile che si versi in chiara e illegittima limitazione della libertà personale, perché, nell’ordinamento giuridico italiano, l’ordine di rimanere nella propria abitazione non può essere imposto dal legislatore, ma solo dall’Autorità giudiziaria con atto motivato. Del resto, tali illegittime misure di sanità pubblica sono state recepite dal DPCM sul modello di quelle adottate in Stati non democratici, come la Cina, che hanno un ordinamento costituzionale autoritario giuridicamente incompatibile con il nostro ordinamento costituzionale, fondate”
su garanzie individuali inviolabili, ignote agli ordinamenti autoritari ed agli esperti sanitari di quei paese e del nostro, in quanto non competenti in diritto costituzionale.
In conclusione deve affermarsi la illegittimità del DPCM invocato dal verbale qui opposto per violazione dell’art. 13 Cost., con conseguente dovere del Giudice di pace, quale Giudice ordinario, di disapplicare tale DPCM ai sensi dell’art. 5 della legge n. 2248 del 1865 All. E.
La novità della controversia e la mancata costituzione dell’Ente opposto giustificano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

Il Giudice di pace,
visto l’art. 23 della L. 689/1981, definitivamente pronunciando, ogni diversa domanda ed eccezione reietta, disattesa o assorbita, così provvede:
accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto opposto con compensazione delle spese.